CAMPNANOWRIMO 2018

Ebbene sì, anche questo aprile mi sono lanciata nell’avventura del CampNaNoWriMo. Ne caso vi stiate chiedendo “di cosa diavolo parli?”, qui c’è un articolo in cui spiego di cosa si tratta.
Quindi oggi andiamo al sodo e sorvoliamo sulle introduzioni: come sta andando il mio personale CampNaNoWriMo?

Non in modo eccellente, ad essere onesti. Sapevo che aprile sarebbe stato un po’ un incubo, per via dell’uscita imminente di “Denti e ossa, carne e sangue”, per via delle commissioni grafiche, per via del tempo che manca sempre quando ci si imbarca in tremila attività come fa la sottoscritta. Però, come sempre, questi eventi di scrittura permettono di scrivere più di quanto si farebbe senza di loro. Aprile l’avrei passato ignorando completamente il mio progetto (progetto con cui sto pensando di fare un passo in territorio sconosciuto, ossia mandarlo a qualche CE una volta finito, per la prima volta nella mia vita), invece mi ci sto dedicando un pochino ogni giorno, avanzando piano ma avanzando comunque.

La realtà è che eventi di questo tipo sono utili per chi, come la sottoscritta, è un underwriter, uno scrittore che sputa fuori poche parole sul foglio e tutte a fatica. Sono ben sotto la soglia di parole prevista per questa prima settimana, quindi, ma sono fiera di aver comunque scritto.
Inoltre non si possono affrontare i vari NaNoWriMo e CampNaNoWriMo senza gruppi in cui confrontarsi, parlarsi, sfidarsi. È il mio caso, per fortuna, visto che sono circondata da altre scrittrici e altri scrittori con cui ho sviluppato delle belle amicizie e con cui continuo a farmi forza!

Questo è quanto per la prima settimana…
Per i curiosi, ecco l’incipit del progetto (che potrebbe non sopravvivere a revisioni ed editing, ma che intanto è lì e volevo condividere con chi passerà da queste parti).

Venne al mondo davvero per colpa di una maglietta rosa che gli andava un po’ stretta, che gli abbracciava le costole e i fianchi come una seconda pelle. Peggio, venne al mondo per un colore, ed Elia pensò che i colori non si possono neanche toccare.
Fu un pensiero fugace, che con il tempo avrebbe trovato ridicolo, ma la paura gli aveva riempito la testa del battito rapido del cuore e non c’era stato spazio per la logica. Erano rimasti solo pensieri goffi e scoordinati, proprio come il suo corpo.
I colori non si possono toccare.
«Toglitela.»
Avrebbe ricordato i loro nomi, come succede sempre quando si condividono le prime volte con qualcuno. Quei tre ragazzi poco più grandi gli strapparono via una verginità mentale che non ci sarebbe stato modo di recuperare: l’idea che indossare una maglietta rosa non significasse nulla se non che quella specifica maglietta, di quello specifico colore, gli fosse piaciuta e l’avesse quindi chiesta in prestito a sua sorella. Niente di più semplice.
Invece era rosa. Era stretta, certo, ma era rosa. E il fatto che non capisse la portata di quel dettaglio come lo vedevano quei ragazzi, era il risultato di un’ingenuità per cui non ci sarebbe stato più spazio, dopo.
«Toglitela.»

COME ESSERE VALIDI BETA-READER

Si parla tanto di come trovare un buon beta-reader (e lo farò anche io sul mio canale, se l’argomento può interessarvi), ma poco di come essere un buon beta-reader.
Non disperate, vengo in vostro soccorso con una delle mie amate liste!

Prima, però, chiariamo chi sia questa figura misteriosa: un beta-reader è un lettore di prova che legge un libro – appunto – e ne dà la sua opinione all’autore. Come evidente, non si tratta di una figura professionale come possono essere, invece, un editor o un correttore di bozza, ma di una persona amante della lettura che ha tempo e voglia a disposizione per approcciarsi a un inedito con una certa attenzione.
Quali sono le caratteristiche per comportarsi da buon beta-reader e aiutare davvero uno scrittore?

1 – Proporsi solo per opere che potrebbero interessarvi in quanto pubblico

Partiamo dal principio, ossia per quali opere sarebbe bene mettere a disposizione il proprio tempo. Evitate tutto quello che non leggereste mai in altre occasioni, per esempio. Anche se sarebbe compito dell’autore assicurarsi di selezionare beta-readers che siano il target del suo romanzo (ossia il suo possibile pubblico), solo voi conoscete davvero i vostri gusti. Se siete soliti leggere saggi polacchi sull’economia, magari evitate gli urban fantasy, ecco, perché potrebbero non essere il vostro pane e la vostra opinione ne sarebbe irrimediabilmente condizionata. Il momento in cui decidete di diventare un lettore di prova è meglio che non coincida con il momento in cui sperimentate un nuovo genere.

2 – Essere educati

Ricordatevi che il vostro obiettivo è muovere una critica costruttiva quando vi trovate davanti a scene, passaggi o scelte dell’autore che non vi convincono. Non dovete distruggere il malcapitato con brutalità (questo non fa di voi persone irriverenti e trasgressive, fa di voi soltanto dei pessimi beta-readers). Dovrete invece cercare in voi i motivi per cui quella specifica scena, quello specifico passaggio o quella specifica scelta non vi hanno convinti e, ancora più difficile, dovrete riuscire a comunicarli all’autore. Infine, siate a disposizione per domande e chiarimenti, e non prendetevela se l’autore non segue una vostra indicazione. Potrebbe darsi, infatti, che siate stati gli unici lettori a esprimere quella perplessità fra i numerosi beta-readers.

3 – Essere onesti

Il vostro ruolo non è neanche quello di solleticare l’ego dell’autore. Dire che un capitolo o una scena sono “belli” non è abbastanza, per quanto possa essere facile dichiararlo e piacevole sentirselo dire. Cercate di articolare sempre i vostri punti di vista e le vostre sensazioni, anche se sono positive, perché l’autore capirà così cosa funziona e cosa no, e farà tesoro della vostra opinione in futuro. È sempre una buona idea associare alle critiche anche le considerazioni positive, certo (sperando che ce ne siano, altrimenti il problema è molto più complesso), in modo da mettere nella giusta luce entrambe perché in rapporto con la loro controparte. Non dimenticatevi, però, di essere onesti.

4 – Conoscere la differenza fra punti di vista più oggettivi e preferenze personali

Questa questione è spinosa e non deve gravare esclusivamente sulle spalle del beta-reader. Anzi, direi che è compito più dell’autore che del lettore dell’inedito. Eppure, se vi riesce, non sarebbe male differenziare fra quello che effettivamente non vi sembra funzionare e quello che invece non rientra nei vostri gusti personali. Ovviamente, anche il punto di vista più oggettivo resta influenzato da una certa dose di preferenze, ma una distinzione esiste e va fatta. Se una scena di lotta non vi piace perché non funziona o procede senza il giusto ritmo è molto diverso che se la scena non vi piace perché usano le pistole e preferite le spade. Lo stesso principio si applica alle coppie, alle ambientazioni e ai dialoghi. A volte non funzionano per motivi che non dipendono da voi, altre volte non funzionano per voi. Questo significa che dovrete comunicare solo le opinioni che vi sembrano più oggettive? Assolutamente no, anche le vostre preferenze personali sono un’informazione importante per l’autore, ma saper distinguere le une dalle altre vi permetterà di articolare meglio i perché di cui abbiamo parlato sopra.

5 – Essere puntuali (o avvertire se non si può portare a termine la lettura)

Pubblicare un libro è anche questione di tempistiche. Certo, c’è sempre un certo margine di tempo che l’autore terrà presente, ma non potete impiegare sei mesi per leggere e dare il vostro parere su un romanzo per cui vi siete proposti. Ci sono autori che danno scadenze precise, autori che vi indicano blandamente un periodo di tempo entro cui sarebbe meglio mettersi in contatto, autori che lasciano fare a voi (magari perché siete in confidenza) e autori che sono molto precisi e organizzati, dividendo addirittura il “carico” in capitoli. Per questo è sempre meglio capire sin dall’inizio quali siano le esigenze dello scrittore e tirarsi indietro se non lo si può accontentare.
Io impiego in media un mese per “betare” un romanzo e spesso cerco di dare resoconti durante la lettura, anche se l’autore non li richiede, in modo da avere ben presenti le mie sensazioni e le mie considerazioni nei diversi momenti della trama.
Certo, gli imprevisti capitano e la vita ci odia. Se a metà dell’opera vi accorgete di non poter andare avanti, non fatevi problemi a renderlo noto. Ovviamente, se l’impossibilità di finire la lettura riguarda invece il contenuto del romanzo, cercate di essere il più possibile esaustivi sui perché, rispettando i punti di cui ho parlato.


E questo è quanto!
Presto un video su come scegliere un beta-reader e rapportarcisi nel migliore dei modi dal punto di vista dell’autore. Se volete restare aggiornati, ricordatevi che ho una pagina facebook su cui faccio rimbalzare tutto quello che scrivo qui o registro sul canale!

5 (inusuali) LEZIONI SULLA SCRITTURA IMPARATE DALLE SERIE TV

Lo so cosa state pensando: è una scusa per guardare le serie tv invece che scrivere. E sì, in parte avete perfettamente ragione. In parte, però, si può anche usare un appassionante passatempo come le serie tv per imparare qualcosa, traendo dell’utile dal dilettevole.
No, d’accordo, è solo una scusa.

Ho scritto “inusuali” perché anche le serie si scrivono, proprio come i libri, ma quelle che ho elencato non sono le classiche lezioni su trama e personaggi, quanto un punto di vista forse un po’ più personale.
Quindi, se siete reduci da una maratona su Netflix che vi ha fatto dimenticare anche come vi chiamate, ecco cos’ho imparato sparandomi ore e ore di episodi.

1 – Scrivere per scrivere (Hannibal)

Cercherò di essere abbastanza superficiale da farla breve. Viviamo in un’epoca in cui il messaggio che si lancia con un’opera creativa è importante. Non c’è modo di nascondersi da questa realtà. Io sono sempre un po’ perplessa davanti all’accostamento fra un prodotto artistico e la morale, perché non credo che i due campi abbiano molto in comune. Certo, ricordando sempre che l’autore deve sapere quando sta infrangendo qualche “regola morale”, deve esserne consapevole, per usare questa infrazione nella sua opera in modo fruttuoso, interessante e – perché no – intelligente.
Una delle lezioni che ho imparato da Hannibal è questa: ricordarsi che l’obiettivo, quando si scrive, è produrre qualcosa che abbia valore creativo e/o che intrattenga. Formulandola meglio: scrivere non ha obiettivi, non ha scopi che non siano altro che lo scrivere e il farsi leggere. Perché, per quanto si possa dire “scrivo per me” è anche vero che un’opera diventa tale nell’atto della fruizione, ossia quando qualcuno la legge o guarda.
Non fatevi scrupoli a rendere affascinante un seriel killer cannibale, quindi, se lo fate con la consapevolezza che si sta parlando di un serial killer cannibale.
È finzione, non è realtà.

2 – Un po’ di rappresentazione non fa male a nessuno (Sense8)

Se è vero che un’opera, per quanto mi riguarda, non deve obbligatoriamente farsi carico di messaggi morali, è anche vero che un po’ di varietà non guasta. Non tanto per la giustizia sociale che questo comporta (tematica rilevante che qui non approfondisco), quanto perché l’arte riflette il mondo e la scrittura non è da meno. Quando leggo romanzi in cui ogni singolo personaggio è bianco e etero sento che manca qualcosa, anche solo per il fatto che il mondo che mi circonda non è fatto solo di eterosessuali caucasici, la mia cerchia di amici non è fatta solo di eterosessuali caucasici, la mia città non è popolata solo da eterosessuali caucasici. Sense8 ha fatto un lavoro magistrale, a mio parere, da questo punto di vista, inserendo personaggi di ogni etnia, estrazione sociale, sessualità e genere senza che ciò risulti forzato o per il solo scopo di rappresentare.
Insomma, ci siamo capiti: si può scrivere guardandosi anche attorno, non solo dentro.

3 – Non trattare da stupidi i tuoi lettori (Sherlock)

Lo so, questa è un po’ acida. Il problema è che, a un anno dalla messa in onda della quarta stagione, ho tirato un po’ le somme e ho capito che il mio problema con Sherlock ha radici più profonde della pessima, ultima serie. Sì, perché quando si scrive, il lettore non dev’essere trattato come un idiota, soprattutto se lo abbiamo spinto noi alle conclusioni a cui arriva, se l’abbiamo punzecchiato e gli abbiamo rifilato indizi su indizi per farlo arrivare a specifiche domande. Non possiamo lamentarci se si interessa a uno specifico punto della nostra trama, se siamo stati noi a dare attenzione a quel punto della trama; né ci possiamo lamentare se riceviamo critiche per non aver spiegato un passaggio, quando siamo stati noi a creare aspettative su quel passaggio e, di conseguenza, sulla sua spiegazione. Dobbiamo essere consapevoli di quello che scriviamo, consapevoli di dove vogliamo andare a finire, consapevoli di dove stiamo facendo focalizzare l’attenzione del lettore. Altrimenti stiamo scrivendo per il puro gusto di continuare a punzecchiare e, quando sarà il momento di tirare le somme, non avremo niente su cui costruire le nostre conclusioni.

4 – Non aver paura di evocare (The OA)

Si ha sempre un po’ paura di risultare pretenziosi quando si cerca di evocare invece che di descrivere e narrare. O, almeno, io vivo questo contrasto interiore (suono come un poeta maledetto, lo so). Ecco, secondo me non è sbagliato, nelle giuste dosi, rifarsi all’evocazione. In questo senso The OA mi sembra un ottimo esempio, tanto che Netflix ha fatto ruotare l’intero trailer della serie sull’incapacità di spiegarne il contenuto, nonostante il contenuto ci sia eccome. Fra sogni, memorie, narrazioni, The OA mi ha ricordato che scrivere può anche voler dire sperimentare, lasciarsi andare, superare i limiti di quello che è tradizionalmente accettato e regolato, per poter trovare i propri spazi e, in questo processo, magari scoprire anche la propria “voce”.

5 – Qualità prima di tutto (Supernatural)

Da Supernatural si possono trarre centinaia di consigli, che possono essere riassunti con un “fai il contrario di quello che fanno gli sceneggiatori di Supernatural e vai sul sicuro” (d’accordo, anche questa era acida). Difatti ho continuato a pensare a quale lezione, fra le molte che la serie può dare, infilare in questa lista inusuale. Clizia ha suggerito anche un sempre vero “non uccidere personaggi che non sai dove infilare”, che cito perché lo reputo uno fra i migliori consigli estrapolabili dagli episodi (qui un mio video in proposito, perché se non mi auto-pubblicizzo almeno una volta poi passo per una persona decente).
Il fatto è che, fra tutte le lezioni, quella che preferisco è che non importa se vogliamo scrivere una serie da trecento volumi o un romanzetto da cento pagine, l’importante è che ci si ricordi di essere soddisfatti del prodotto finale, di essere convinti del suo valore, di reputarlo di qualità. Noi per primi, a prescindere dalla veridicità finale di questa convinzione. Dobbiamo impegnarci per scrivere bene una buona storia, ricordandoci da dove siamo partiti con i nostri personaggi e la nostra trama, e sapendo dove vogliamo finire. Perché sì, alla fine magari avremo anche i nostri lettori, che si affezioneranno pure a quello che abbiamo scritto e ai nostri personaggi (Supernatural è ancora vivo per questa sua forza d’attrazione e non nego assolutamente che la eserciti anche su di me e in grande misura), ma saremo noi, poi, a dover rispondere con noi stessi della qualità del nostro lavoro. Io non mi perdonerei mai, se la pigrizia e la consapevolezza di essere letta comunque mi facessero pubblicare un lavoro pessimo che so essere tale.

Questo è quanto. Se volete condividere o commentare con qualche altra lezione tratta dalle serie tv, mi trovate qui o sui social (sono praticamente ovunque come @donniescrive).
Alla prossima!

NANOWRIMO 2017

Ho già parlato del Camp NaNoWriMo, ma ora è arrivato il momento del real deal, il vero e unico National Novel Writing Month.
Durante il mese di novembre, scrittori di tutto il mondo si incontrano virtualmente per tentare nell’impresa di scrivere 50.000 parole per un loro progetto nel cassetto (un romanzo iniziato o da iniziare, un blog, una ricerca…)
Non è un’impresa semplice e, sebbene la quantità di parole al giorno sembri irrisoria (1.667), la verità è che il tempo è nemico degli scrittori, i personaggi sono nemici degli scrittori, la trama è nemica degli scrittori… scrivere è nemico degli scrittori.
Tutto andrà storto, farà male, e niente avrà senso.
Pessimismo e fatica.

Perché partecipare, quindi? Perché è un esperienza fantastica, nonostante tutto. Si condivide l’amore per la scrittura con altri che possono capirlo, si scambiano opinioni e consigli e, da non sottovalutare, si ha un motivo in più per scrivere e non abbandonare i propri progetti.
Io, come sempre, sono stata abbastanza fortunata da costruire delle solide amicizie in quest’ultimo anno, grazie al NaNoWriMo del 2016 e ai due camp NaNo a cui ho partecipato.
Insieme alle vecchie conoscenze e a qualche nuovo arrivo, quindi, ci siamo fatti forza e ci siamo sfidati a suon di word wars (scontri a tempo limitato in cui ci si impegna a scrivere più parole possibili, confrontando con gli altri partecipanti la quota finale), riuscendo così a far fruttare questo mese ostile.

Anche quest’anno sono partita con le migliori aspettative, come puoi leggere nella mia collaborazione a tema NaNoWriMo con il The Bitchy Book Club. Ma veniamo al succo della questione: ce l’ho fatta?
Ebbene sì, ho scritto poco più di 50 000 parole, ho vinto!

Vorrei poter avere qualche prezioso segreto, qualche saggia verità che possa aiutarti nel caso tu voglia cimentarti l’anno prossimo, ma la verità è che non ho idea di come io ci sia riuscita. Forse, guardando indietro, ho solo qualche dritta a posteriori.
Fai fruttare il tempo libero. È poco e magari sei già stanc* a causa della vita di tutti i giorni, ma provaci, continuando a ripeterti che è solo un mese, è solo un mese, è solo un mese
Cerca di avere come obiettivo di ogni giorno la quota giornaliera totale prevista dal NaNoWriMo, non importa se sei indietro di mille o di cinquemila parole, non importa quanto sia realistico e quanto sia un’assurdità. Fai della linea diagonale del grafico nelle statistiche la tua unica ragione di vita.
– Cerca compagnia, parla con altri partecipanti, motivati con test sui personaggi, raccogli immagini, cerca di tenere vivo l’interesse per un progetto che – per forza di cose – finirai per odiare profondamente.
Prova ad avere un piano, anche blando, che ti indichi una via da seguire, non importa fino a che punto tu sia maniac* della pianificazione per le tue storie. Prova ad aggirare gli ostacoli, a mettere pezze temporanee sui buchi, a costruire castelli di carte che crolleranno in revisione, certo, ma che ti faranno andare avanti.
Tenta, tenta, tenta.

 

“DARKER” e il mestiere dello scrittore

Oggi parlerei di scrittura, sì, ma concentrandomi su una notizia specifica.
Partiamo dal presupposto che puoi leggere quello che vuoi e che, ai miei saggi occhi, esiste un’abissale differenza fra gusti personali e ragionamenti obiettivi dettati da conoscenze, approfondimenti e capacità critica. Non sostengo di avere tutto ciò, ma – con questo in mente – si dovrebbe poter distinguere di seguito fra ciò che provo e ciò che reputo un’analisi più oggettiva, anche se non posso prescindere dall’essere una singola persona che ha, quindi, una certa visione del mondo.
Per farla breve, mi limiterò a chiacchierare, sperando che nessuno si senta offeso o punto sul vivo da quello che ha tutta l’intenzione di essere uno spunto di conversazione.
Ho già parlato troppo e non ho ancora detto niente.

Meglio passare a esempi concreti: ti è piaciuto la saga di “Cinquanta sfumature” di E. L. James? buon per te; è un buon libro? no; apprezzi Gray come personaggio? liberissim*; è un personaggio ben scritto? no; quella fra Anastasia e Christian è per te una relazione ideale? a ognuno il suo; è una relazione scritta in modo consono ai temi che tratta o ben pensata? no.
A prescindere dalle mie opinioni, credo che un minimo di conoscenza sulle tecniche narrative, sulla costruzione delle vicende e dei personaggi, su come si possa e debba strutturare una trama, rendano alcune considerazioni obiettive. Detto questo, il libro può piacere ed è, in effetti, piaciuto molto, tanto da essere un best seller coi controcazzi (letterali e metaforici). Io ho letto libri di una bruttezza oggettiva rara che mi sono piaciuti molto, quindi sono incline al vivi e lascia vivere.

Ma veniamo al punto di quest’articolo: “Darker. Fifty shades as told by Christian Gray”.
Ebbene sì, il 28 novembre uscirà un nuovo libro della James e sarà l’ennesimo libro di questa saga e il secondo dal punto di vista del signor Grigio.

Questa uscita è obiettivamente dettata da motivazioni commerciali.
Non che le motivazioni commerciali abbiano per forza di cose un’accezione negativa, ma hanno poco a che fare con la scrittura. Questo mi pare ovvio. Se il mestiere di uno scrittore è prima di tutto scrivere, allora le vendite non devono essere un suo problema (almeno nell’immediato). Attenzione: le vendite, non la ricezione dell’opera, a cui invece deve dedicare parte dei suoi pensieri anche mentre scrive, nonostante molti siano convinti del contrario. L’arte è espressione, è comunicazione, ed esige un pubblico che ne fruisca (merda, sto rivivendo il trauma dei miei studi di estetica).
Il punto è che da una parte sono convinta che cinquanta sfumature sia ormai un cadavere che la James cerca di tenere in vita per far soldi (e beata lei che ci nuota come Paperon de Paperoni) e la questione urta il mio amore per la scrittura; dall’altra ringrazio che stia concentrando tutte le sue energie su questi personaggi senza scriverne di nuovi, correndo così il rischio che le esca qualcosa di peggiore (al che si dovrebbe ideare un nobel apposito, perché se lo meriterebbe).

Il mio problema in generale è che non gradisco i libri che esplorano il punto di vista di un personaggio che in uscite precedenti non era preso in considerazione, narrando però la stessa storia. Il motivo è semplice: la trovo una scelta di scrittura pigra, un modo per rinnegare una decisione – quella del punto di vista – che invece andava ponderata con attenzione. L’unica eccezione, a mio parere, è quando una serie di libri è pensata in partenza come espressione di più punti di vista, perché questo di solito motiva determinate scelte contenutistiche, ma sto già divagando perché non è il caso della saga di cui stiamo parlando, ovviamente.
Non esiste una regola che vieti di pubblicare un libro con la stessa storia e un altro punto di vista, nonostante le mie personalissime preferenze, per farla breve, quindi mi stringo nelle spalle e vado avanti.
Il punto successivo è: ce n’era bisogno? E non parlo a livello sociale o editoriale, intendo proprio dal punto di vista creativo. La storia lascia spazio per esplorare i pensieri di Gray, le sue azioni quando non è con la protagonista e voce narrante?
No.
Ecco, questo proprio no.

Il passato di Gray è raccontato nella trilogia originale (potete spararmi per aver usato una terminologia che può essere associata solo a Star Wars, sì) e tutto quello che fa viene reso noto attraverso Anastasia, con cui passa praticamente tutto il suo tempo durante la storia. Se la James fosse una scrittrice navigata, potrei sottolineare come Ana possa risultare un narratore inaffidabile e come questo renda se non necessario almeno interessante il punto di vista di Gray. Ma non è il caso di Anastasia, perché stiamo parlando della James che – cerco di essere delicata, qui – è un filino inesperta in materia di scrittura.

D’accordo, d’accordo, facciamo finta che niente di tutto questo abbia un peso nella decisione di narrare una storia da un altro punto di vista. “Darker”, quantomeno, permetterà di conoscere meglio il personaggio di Gray e soddisferà la sete di sapere delle fan, stuzzicata solo in superficie da “Gray” (almeno, secondo quanto dichiara la James).
Agghiacciante.

Perchè allora non mi scrivi un libro sulla relazione fra Gray e la sua mistress passata, non su una storia che già conosco e di cui so tutto perché questi personaggi vocalizzano praticamente ogni pensiero?
Il problema è che non puoi farlo, perché è la storia fra Ana e Gray che le lettrici e i lettori amano. Rischieresti l’ammutinamento e, di conseguenza, un calo nelle vendite (vendite a cui non penseresti se non fosse tutta un’operazione commerciale).
Secondo, perché Gray è costruito in modo superficiale e non ha abbastanza da dire da poter riempire ben due libri. Tanto che per questo libro la James ha “scoperto” parti del suo stesso personaggio.

“In Grey we got the first glimpse of what makes Christian tick, but in Darker we go deeper, into his most painful memories and the encounters that made him the damaged, demanding man Ana falls in love with. Writing this novel has been a journey of discovery, and I hope readers will find what I’ve learned as compelling as I did.”

Parole sue.
Ora, scoprire qualcosa su un personaggio che si sta ideando è bellissimo. Passi anche fare scoperte mentre si sta scrivendo il primo libro, anche se sappiamo tutti che è una scocciatura poi ricontrollare che tutto abbia senso, che le sue motivazioni filino, che sia solido e tridimensionale in ogni caso. Ma scoprire aspetti che lo caratterizzano dopo che sono stati scritti già quattro libri che lo riguardano è da mani nei capelli. Quindi all’inizio Gray è tutto scritto improvvisando?
Ah, sì, giusto. Errore mio.

Io non ho ancora (e forse non lo farò mai) parlato di “Cinquanta Sfumature”; non ho ancora (e forse mai lo farò) girato un video sulla balzana idea di ripensare l’opera basandomi sui suoi più evidenti difetti oggettivi; né mi sono espressa su “Gray”, perché mi sembra sempre troppo facile parlare di prodotti che vendono tanto e che chiamano la critica facile; e mi sono perfino trattenuta dal sottolineare troppo il più evidente problema del libro (la romanticizzazione di un rapporto abusivo senza la consapevolezza da parte della scrittrice di cosa stesse facendo)… ma su “Darker” questi pensieri – chiamiamoli pure “perplessità” – li ho voluti esternare.

Tu cosa ne pensi?

BULLET JOURNAL (e scrittura)

Salve!
Oggi vengo a parlarti di un argomento che con la scrittura potrebbe c’entrare niente, e invece…
Sì, perché con la memoria da pesce rosso che mi ritrovo, negli anni ho dovuto sperimentare quasi ogni mezzo esistente per sopperire alle mie difficoltà, anche e sopratutto per quanto riguarda i miei impegni legati allo scrivere. Negli ultimi due anni, finalmente, ho trovato il metodo che fa per me: il bullet journal.

Di che cosa diavolo sto parlando?
Un bullet journal è figlio di una notte di passione fra un’agenda e una to do list. Dalla prima prende la divisione in mesi, settimane e giorni, dal secondo il classico elenco da spuntare.
Perché non usare un’agenda e basta, invece di complicarsi la vita?
Perchè il bullet journal è personalizzabile in tutti i suoi aspetti, parte letteralmente da un quadernetto bianco e può essere pensato intorno alle proprie necessità.

L’idea fondamentale è avere ogni giorno una lista di “cose da fare” da spuntare, che tenga a mente per noi gli impegni piccoli e grandi della quotidianità e ci faccia essere più produttivi di quanto non siamo di solito (almeno, io che sono culopesa).
Serve a essere più organizzati, certo, ma non è solo per i malati di liste e pianificazione, è anche e sopratutto per i caotici (io, presente, eccomi). Lo trovo utile perché non devo fare sforzi mentali a ricordare un milione di impegni e progetti, e questo mi dà meno ansia. Inoltre, trovo rilassante arrivare alla fine di un mese e ritagliarmi un piccolo spazio di tempo per scarabocchiare quello seguente, così come alla fine di ogni settimana posso dedicarmi a sistemare quella successiva.
Ovviamente non dev’essere motivo di stress, non deve diventare un’ossessione, e per questo non è adatto a tutti. Né dev’essere “bello” a ogni costo, perché l’importante è che sia funzionale. Consiglio di provare e vedere come va, magari modellandolo in base ai gusti e ai bisogni personali.

Mentre il metodo bullet journal ufficiale ha una serie di simboli specifici, io preferisco usare un codice di colori per differenziare quello che devo fare, perché lo trovo visivamente più immediato. Ma questo è il bello del bullet journal: ognuno può adattarlo fino ad avere il perfetto assistente personale.
Inoltre si possono inserire vari contenuti all’inizio del mese. Io li ho provati un po’ tutti e alla fine ne ho selezionati solo alcuni che funzionano per me: la tabella mensile in pieno stile “calendario”; le spese (in cui segnare giorno, motivo generale della spesa, entrate e uscite), in modo da stabilire se a fine mese ho cacciato più soldi del previsto; un grafichino che tiene conto del mio umore generale della giornata, per stare attenta a non cadere in un lungo periodo di vuoto in cui non sento niente (sono l’anima della festa, lo so); una pagina per le idee casuali che mi appunto ovunque, perché lì siano poi raccolte in base all’argomento (scrittura, video, blog, arte, ecc).
Sempre all’inizio del mese piazzo una citazione depressoide presa quasi sempre dalle serie tv, perché le frasi motivazionali mi fanno un baffo e io mi sento più motivata a leggere intensi riferimenti a quanto sia buia l’esistenza umana, d’accordo? Perfetto.

Durante la settimana, poi, oltre a spuntare le varie mansioni quotidiane, finisco per segnarmi canzoni scoperte, incontri fatti, avvenimenti importanti, per qualche oscura ragione che non conosco. Forse perché ho paura di dimenticare, il che la dice lunga sul mio equilibrio mentale.

Alla fine del mio bullet journal ho delle pagine dedicate alle grandi liste della vita, ossia libri, serie tv, film e eventi. Qui cerco di tenere conto di tutto quello che vorrei leggere/vedere/fare, nonostante il tempo sia quello che sia e le mie liste siano scandalosamente lunghe rispetto a quello che poi faccio davvero. Anche qui, niente ansia. Nessuno mi sgriderà per aver iniziato la centesima serie tv prima di aver finito le precedenti, giusto?

Cosa c’entra tutto questo con la scrittura?
Prima di tutto, essere organizzat* ti fa essere efficiente. Quando ti siedi a scrivere è perché devi fare quello e quello soltanto, non hai altre mille questioni in sospeso da ricordare a rendere impotente l’ispirazione o a farti sentire in colpa.
Inoltre puoi usare il bullet journal per segnare una quota giornaliera di parole. Io non la raggiungo spesso, ma il fatto di averla lì, di avere il potere di segnarla come raggiunta o di metterci una letterale croce sopra mi aiuta a focalizzare i miei sforzi. Non deve essere un obiettivo impossibile o irrealizzabile: meglio poco ogni giorno che niente.
Infine, per chi si è autopubblicato e sta cercando di emergere nel mare di altri scrittori, è utile tenere traccia dei contenuti da condividere, dei tempi da dedicare ai propri figli-libri, della gestione di pagine e simili. È una palla, lo è, ma se è tutto nero su bianco non si rischia di far morire i propri profili e, con quelli, le speranze che qualcuno (anche una sola persona) vi legga perché stava vagando sul web.

Nulla, questo è quanto. Se hai un bullet journal mandami qualche foto o scrivimi cosa preferisci farne. Se non lo hai e vuoi provare, fammi sapere comunque. Insomma, tienimi aggiornata e non farmi sentire una maniaca del controllo da sola.
Grazie.

 

SUPERARE IL BLOCCO DELLO SCRITTORE

Stiamo tutti molto calmi. Ora arrivano i consigli, quelli utili.

Non saranno consigli come “fatti una corsa” (uhg), “fai i gargarismi con pagine di dizionario sciolte nell’acetone” (meglio della corsa) o altri strambi metodi, perché in fondo tutte queste cose non servono a farti scrivere davvero. Quelli di cui parlerò sono trucchetti che pretendono un po’ di fatica (lo so, lo so, che palle), ma che uso per me e che potrebbero funzionare anche per altri.

Prima di tutto, quello che devi capire è perché scrivi. Apparentemente non c’entra nulla con l’argomento che ho deciso di trattare per non lasciar morire questo angolino di blog, ma è fondamentale, in realtà.
Se si scrive per hobby, come passatempo divertente e spensierato, il mio primo suggerimento è di prendersela comoda. Non hai scadenze, non vuoi farne un mestiere, non hai persone alla tua porta con torce e forconi, quindi perché non ti rilassi, non bevi una camomilla e non ti immergi nella lettura di quel libro in sospeso o in qualche film? L’ispirazione, prima o poi, tornerà. Magari proprio facendo una di queste due cose, stimolando così la tua creatività (che è un modo carino per dire che risveglieranno la tua fangirl interiore spingendoti a sputar fuori 90k di parole su una fanfiction in cinque atti).

Se invece scrivi perché ne hai bisogno (per stare bene e funzionare come un essere umano “normale”) o perché hai delle scadenze o, ancora, perché vuoi provare a farne un mestiere, ecco che devi scrivere a tutti i costi.
Butta la camomilla, spegni Netflix e leggiti ‘sto papiro.

Il primo ostacolo è la potenziale mancanza di idee. Non è un problema che ho (ho il problema opposto, a dirla tutta), ma può affliggere scrittori di ogni tipo.
Non hai idee perché davvero non hai idee, oppure ogni idea che ti viene la reputi una schifezza? In quest’ultimo caso, devi fare un grande lavoro: sdoppiare la tua personalità. Prendi carta e penna e diventa una versione di te superentusiasta, la tua immaginaria fan numero uno, e scrivi tutti i motivi per cui quell’idea può essere vincente.
Esempio: vuoi proprio scrivere la storia di un miliardario che si innamora di un’idiota, ma ti sembra un’idea fatta e rifatta. Qui entra in gioco la tua fan numero uno: non è per forza così, se decidi di trattare il tema sotto la luce orribile degli abusi domestici, concludendo con un finale degno di amore criminale in cui lui la uccide e la tiene nel congelatore! Oppure, ancora, il tuo stile potrebbe dare all’idea una nuova veste a cui nessuno ha ancora pensato, nonostante la storia di base sia stata scritta e riscritta! Oppure, perché no, si tratta comunque di un prodotto che vende ed è proprio quello il tuo obiettivo, quindi perché crucciarsi sulla sua originalità?
Il tuo alter-ego non ha il senso della realtà, ti ama incondizionatamente, le sue considerazioni sfiorano l’assurdo, sicuramente ha una parete inquietante piena di tue foto, ma fra i suoi deliri troverai di certo qualcosa di razionale che potrebbe avere un certo senso.
Un esercizio che all’inizio sembra stupido, ma che fatto (e rifatto e rifatto) porterà a qualche risultato. Oppure ti ricovereranno per la frammentazione del tuo io interiore. In quel caso, scusa.

Se invece latita proprio la materia prima, le idee, consiglio di portare sempre con sé un blocchettino perché spesso, durante il giorno, ci fulminano frasi, situazioni, abbozzi di personaggi che lasciamo scivolare via perché non abbiamo dove segnarli o non siamo abituati a prestarci attenzione. Lo so, mi dirai che siamo nell’era della tecnologia, ma i cellulari si rompono (i miei sopratutto) o i file si perdono fra le tremila immagini di Benedict Cumberbatch che neghi di aver scaricato. L’atto fisico di segnare l’idea è energico, è più incisivo, e ti farà sembrare cazzut* come Hemingway, d’accordo? Fidati. Non buttare via nessun pensiero creativo, ma vomita tutto sulle pagine. Tutto. Lì in mezzo scoverai qualcosa di decente, te lo assicuro.

Diciamo che hai l’idea, che sei convint*, che ti piace, che vuoi scriverne. Ti siedi davanti al computer o davanti alla pagina e niente. Niente.  Blocco totale.
Anche qui il lavoro che devi fare non è da poco: vomitare di nuovo.
Scrivi una frase. Una soltanto. E non cancellarla. Fa schifo, ma schifo davvero. Ma tu non puoi cancellarla.
Non solo, non puoi neanche correggere le parole digitate in modo sbagliato, i verbi coniugati col culo, le virgole in mezzo al cazzo. Niente, deve restare tutto lì. Vomito di parole vero e proprio.
Quando lo hai fatto abbastanza a lungo, diciamo mezza faticosissima pagina come minimo, ripercorri il documento. Ancora una volta, divieto assoluto di cancellare: tutto va segnato fra parentesi dopo la parola o la frase, errori, note, considerazioni; puoi anche appuntare cose come «chi l’ha scritta questa frase, mia cugina di due anni?» e altre denigranti constatazioni, ma non cancelli niente. Quando hai fatto, via a sforzarti con altre frasi oscene, il tutto per un limite quantitativo (di tempo o pagine) da te stabilito, senza esagerare. Un paio di pagine, osservazioni comprese, quando si è bloccati, sono un ottimo risultato! Sono due pagine in più del niente da cui si è partiti.
Un uso prolungato di questo metodo non ha effetti collaterali, a parte comportare un grosso lavoro di editing… se ti sblocca, puoi usarlo ogni volta che vuoi e lasciare la cancellazione e la correzione di base alla prima rilettura totale, con l’animo più sereno perché, dannazione, sei riuscit* almeno a scrivere qualcosa.

Poniamo il caso che a mancarti non sia l’ispirazione, ma la scintilla. Quella passione per lo scrivere, quell’ossessione che ti fa macinare pagine e parole come se non ci fosse un domani. L’idea c’è, ti piace, è condita da personaggi che ti convincono e scrivi, certo, ma è tutto meccanico, niente ti emoziona. Quello che esce, di conseguenza, è di una noia mortale e i lettori se ne accorgeranno di sicuro.
La prima opzione è cambiare idea. Forse non è il momento per questa trama e questi personaggi. Ma ci hai speso anni della tua vita, mi dirai. Eh, appunto. Anche basta. Si cambia aria per un po’ e dal mattone introspettivo di impronta scandinava passi a scrivere una romance. Rinfreschi un po’ il cervello, e dopo un mesetto ritenti con il mattone scandinavo, applicando il metodo di cui sopra (vomito di parole e divieto di cancellarle).
Il consiglio vale anche a breve termine, per chi ha scadenze. Invece di buttarti su un altro romanzo intero, prova con un raccontino, giusto per sfogarti un po’ e risollevare lo spirito. Niente di complesso, niente che dovrai far leggere a qualcuno.
O, anche meglio, fai come faccio io e vai di fanfiction. Non che non abbiano dignità letteraria di per sé, ma possono anche essere un buono strumento di evasione. A me mi riportano subito nello stato creativo che mi fa macinare pagine su pagine!

Ci sono poi dei consigli generali.
Evita di distrarti eccessivamente. Lo so, ci vuole una forza di volontà pazzesca, cosa che a me manca. Per questo quando devo scrivere “per forza” stacco internet. Siamo io e la pagina, nient’altro. Stabilisco all’inizio che sia solo mezz’ora, non di più. Alla fine ho comunque iniziato e spesso sono così presa dal fluire della scrittura che passa anche più tempo. Mezz’ora sembra semplicemente più accettabile data la mia dipendenza dal wifi.
– Un altro metodo è circondarsi da persone che scrivono con cui scambiarsi idee e pareri. È sempre stimolante parlare di personaggi e trama con altri scrittori. Solitamente ci sfidiamo in piccole word wars in cui ci accordiamo, scriviamo per mezz’ora e poi vediamo quante parole abbiamo scritto e chiacchieriamo di cosa abbiamo buttato giù. I round si susseguono e, alla fine, ti ritrovi con capitoli e capitoli finiti magicamente (dove magicamente si legga «con il sudore della fronte»)!
Partecipa a eventi di scrittura come il NaNoWriMo o i CampNano, per avere un mese intensivo in cui ti sforzi di scrivere a qualsiasi costo.
Pianifica e organizza: se hai tutta la trama, sai già cosa andrai a scrivere e difficilmente ti perderai per strada senza sapere cosa mettere sulla pagina bianca. O, ancora, decidi che la sera dedicherai sempre mezz’oretta alla scrittura e fanne una routine, se questo può aiutarti.
– Un consiglio di Red che seguo quando mi viene a noia scrivere è passare ad abbozzare una scena che aspetto con ansia. Almeno avrò scritto qualcosa, anche se poi la cambierò del tutto.
Gioca con tutto ciò che di collaterale può motivarti: fai immagini, disegni se ti piace farlo, bozze di copertina, interviste virtuali ai tuoi personaggi, challenge e tag. Stimolati!

Ora, non so se ho detto tutto o se questi consigli ti saranno utili, ma prova (provarci è la parte peggiore, lo so, ma è un inizio)!
E stringi i denti…

CAMP NANOWRIMO: campeggio virtuale per scrittori

Non sono un’amante dei campeggi immersi nella natura: davanti agli insetti mi paralizzo dalla paura, non mi piace l’idea di essere in balia degli elementi e, in generale, mi siedo sull’erba solo se non esiste nel raggio di chilometri una panchina disponibile. Per non parlare della condivisione degli spazi e, orrore, dei bagni.

Ecco, l’ho detto.
Eppure, ad aprile e a luglio, sono andata in campeggio. Certo, è stato un campeggio virtuale, ma io lo faccio contare nella lista delle mie avventure spericolate, altrimenti si tratterebbe di una lista davvero penosa.
Parlo del Camp NaNoWriMo, un campeggio virtuale per scrittori legato all’evento novembrino del NaNoWriMo, il National Novel Writing Month.
Per farla breve, durante il mese di novembre, chiunque aderisce al NaNoWriMo si pone l’obiettivo di scrivere 50.000 parole, che siano per un romanzo già iniziato o per un progetto nuovo che attendeva solo la giusta occasione (o per una fanfiction, non dimentichiamolo). È un evento che raccoglie partecipanti da tutto il mondo (altro che “national”), fatto di sostegno reciproco, scambi di idee, consigli da parte di scrittori esperti e tante, tante, tante parole da contare. Io sono finita a scrivere 18.000 parole, che per me sono un record, tenendo conto che ho deciso di partecipare all’ultimo e con un progetto decisamente vago e mal strutturato.
Ma, ehi, non è davvero una gara. Se non si conta l’eterna lotta con la scrittura, le parole che non vogliono saperne di uscire e il foglio bianco. Insomma, non ci sono vincitori o vinti, non per davvero, solo persone che riescono a raggiungere le 50.000 parole e quelle… come me.
Nonostante l’obiettivo mancato, però, è stata un’esperienza estremamente positiva, perché mi sono concentrata sulla scrittura più del solito e perché mi ha aiutata a capire quali scelte sono vincenti per il mio metodo e quali decisamente dannose.

I campeggi di aprile e luglio sono, invece, molto più elastici: ognuno si può porre l’obiettivo che desidera – parole, pagine, ore di scrittura – e partecipare con qualsiasi progetto – dalle revisioni, alle poesia, a romanzi veri e propri. La particolarità di questi campeggi virtuali è che si condivide una cabin, che è poi una chat di gruppo, con altri scribacchini nelle nostre stesse condizioni. Si può organizzare una cabin con i propri amici e vecchi compagni di scrittura, oppure si può essere smistati per il genere del nostro scritto o, ancora, del tutto a caso. In queste chat ci si confronta, ci si consiglia, ci si sostiene nella dura lotta che è lo scrivere. Io sono stata molto fortunata, grazie a Red che mi ha introdotta in questo mondo: ad aprile sono finita in una cabin piena fino all’orlo in cui si parlava davvero di tutto; a luglio ci siamo ritirate in tre in una cabin che ho immaginato defilata e tranquilla, da qualche parte fra il bosco e il lago.
Io Red e Hiromi abbiamo sviscerato i nostri progetti, confrontato le nostre idee, proposto argomenti e scambi, chiesto consigli ed esposto dubbi. Siamo state brave – anche se io non ho raggiunto l’obiettivo che mi ero prefissata (delle 50 ore che avrei voluto passare a scrivere, ne ho effettivamente portate a casa 46) – perché abbiamo continuato a scrivere, ci siamo sforzate di andare avanti e, parlando di scrittura, non è sempre facile farlo.

Sono state tutte belle esperienze, che continuerò a fare senza dubbio, che mi hanno fatto conoscere meglio la mia scrittura e ancora più a fondo persone con cui avevo scambiato poche parole e che ora considero inseparabili compagne di avventura. Tutto questo per consigliare a chiunque di fare un tentativo, a novembre, e iscriversi al NaNoWriMo, per poi seguirmi in un campeggio senza insetti o bagni condivisi, ma con tanta compagnia per scrivere quelle dannate parole che servono ai nostri romanzi.

 

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