“You’ve lost a lot of blood” Eric LaRocca

Quest’estate, in un periodo di rifiuto totale della lettura, sono riuscita però a finire un piccolo libricino in inglese di cui sarà molto, molto complicato parlare. Si tratta di “You’ve lost a lot of blood” di Eric LaRocca, pubblicato in modo indipendente nel 2022.
Un viaggio stratificato e disturbante attraverso parti all’apparenza sconnesse fra loro, che mi ha lasciata con più domande che risposte.

Trama:

Each precious thing I show you in this book is a holy relic from the night we both perished-the night when I combed you from my hair and watered the moon with your blood.


Come evidente dall’inesistente quarta di copertina, è difficile parlare con precisione di questo libro. La descrizione più accurata che posso farne è “just vibes” e comunque mancherebbe qualcosa.
Questo romanzo breve è infatti travestito da una raccolta (o viceversa) composta da diverse parti: una novella dal titolo “You’ve lost a lot of blood” firmata Martyr Black, diari e poesie dello stesso autore e, infine, da delle trascrizioni di registrazioni audio in cui Martyr Black parla con il suo ragazzo, Ambrose Thorne. I due si sono macchiati di diversi omicidi e sono scomparsi al momento della fittizia compilazione della raccolta, o almeno così ci informa l’editore – Trent Pilcher – in quelle che possono essere considerate un’altra parte del libro: la prefazione e la postfazione.

I’d like to crawl outside of my head and look back at the horrible thing I’ve become, the soulless spirit residing inside my shell.

Prima di parlare di ognuna di queste parti, vorrei fermarmi a descrivere cosa intendo con “just vibes”. Per me uno dei punti più belli di questo bizzarro libretto è infatti il modo in cui è scritto e, di conseguenza, la sua atmosfera: è poetico, decadente, barocco, è ricco di metafore e arzigogoli, si sofferma spesso su piccoli dettagli, il tutto nella sua declinazione più inquietante e sanguinolenta. In tutte le parti si fa poi un uso spietato dell’anticipazione, che ho trovato davvero ben riuscito e che è stato uno degli elementi che mi ha portata avanti nella lettura anche davanti alle parti meno efficaci del romanzo.
A volte, infatti, tutti questi stratagemmi sono fini a loro stessi, oppure il ritmo non viene controllato a dovere – questo specialmente nella parte finale della novella “you’ve lost a lot of blood”, in cui invece che urgenza, le frasi brevi iniziano a trasmettere una certa ripetitività – ma leggere questo libro è stato, in generale, un’esperienza.

It’s a terrible story. There’s no point to it other than to disturb the listener.

Questo stile è strettamente connesso a Martyr come personaggio: egocentrico, saccente, tutto apparenza e poco sostanza. Già nella prefazione viene descritto dall’editore come uno studente pigro sebbene animato da una certa curiosità e, in generale, una persona eccessiva ma mediocre. Questo si riflette in tutti i punti in cui Martyr parla direttamente (le registrazioni e i diari) e, soprattutto, diventa evidente la sua differenza con Ambrose, che invece è davvero una mente inquisitiva e che ha l’unico difetto – almeno secondo l’editore – di essere accomodante nei confronti degli altri. Com’è evidente da quello che ho scritto, nonostante io abbia trovato entrambi fedeli alla loro caratterizzazione, ho grandemente preferito Ambrose e i suoi ragionamenti a Martyr, verso cui ho provato un crescente fastidio fino alla rivelazione finale, del tutto in linea proprio con questa mia sensazione.

The best games are like viruses you can’t cure. They change us. Stay with us long after we’ve finished playing them.

Ma veniamo alle parti che compongono la raccolta-romanzo breve. Prima di tutto, non sono successive ma si alternano man mano, creando così un certo vuoto di tensione nel mezzo della raccolta (forse stemperato solo dalla novella nella novella). Questo non toglie che la parte iniziale e quella finale io le abbia trovate interessanti e inquietanti il giusto, con momenti che mi hanno proprio fatto rabbrividire o che mi hanno nauseato (in senso buono e volontario).

Il punto debole fra le varie parti sono, a mio parere, le poesie. Sarà che io di poesia capisco poco o nulla, ma non le ho trovate poi così interessanti. A tratti riescono a essere disturbanti e scomode da leggere, certo, ma nessuna mi ha davvero colpito, devo ammetterlo.

Don’t you hate who you are just a little? I’d like to meet the completely self-aware person who’s enraptured with themselves, in love with their entire being. That person doesn’t exist. And if they do, they won’t be alive for long.  

Il punto forte, invece, è la novella che dà il titolo all’intero libro. “You’ve lost a lot of blood” parla di Tamsen e del suo (inquetantissimo) fratellino Presley, in viaggio verso la sede del nuovo lavoro di Tamsen come sviluppatrice di videogiochi.
È evidente da subito che qualcosa non è come dovrebbe essere e le avvisaglie in merito si fanno sempre più disturbanti più ci addentriamo nella storia. Gli sconosciuti lungo la strada, la villa del nuovo datore di lavoro Zimpago, i suoi dipendenti, i datori di lavoro stessi, tutto è inquientante e “fuori posto”, almeno fino al colpo di scena che spiega cosa è accaduto per tutto il tempo. Colpo di scena intuibile da subito, sia chiaro, ma a me prevedere dove finirà una storia non mi ha mai impedito di godermela.

Ci sono parti davvero, atmosferiche, in questa storia, insieme a parti che ho trovato terrificanti e che mi hanno fatto evitare il romanzo di sera e parti più umane in cui si esplora un poco il tema della perdita, della colpa e delle responsabilità.
Insomma questa novella poteva essere un libro a sé, secondo me, se approfondita a dovere. Tratta, in fondo, un tema che ne varrebbe la pena, oltre a quelli già citati, ossia il rapporto fra gioco e realtà. Peccato che lo spazio non sia sufficiente per esplorare il tutto a dovere o per lasciare che le vicende abbiano il giusto respiro.
Proprio per i suoi temi, però, vediamo come questa novella in qualche modo si collega alle vicende di chi l’ha firmata: Martyr Black.

He said it was about – changing. His games are the opposite of entertainment. They’re about what the user can do for the game. Not the other way around.

Veniamo quindi ai dialoghi registrati, con sovra-registrazioni da parte di Martyr in cui emergono i suoi pensieri più oscuri e morbosi. Qui vengono esposti i temi principali del romanzo: creatività e creazione, originalità e plagio, conditi da aneddoti macabri, il tutto in modi a volte vincenti altre volte un po’ scontati. Questi passaggi sono di certo rilevanti per capire cosa accomuna questa raccolta di scritti vari, ma in alcuni punti mi hanno lasciato l’impressione più di un autorə che volesse filosofeggiare sullo scrivere, che non di personaggi che stessero davvero dialogando fra loro.

I diari sono invece la parte più horror della raccolta, con descrizioni degli omicidi di Martyr o, meglio, dei suoi pensieri in merito agli omicidi. C’è body horror, c’è fastidio, ci sono molti temi a cui bisogna fare attenzione se si hanno dei trigger di qualsiasi tipo. Sono anche le parti stilisticamente più decadenti, proprio per la connessione fra la forma e la caratterizzazione di Martyr Black.

Someone could easily be sitting there – watching you – and you’d never know. That’s more frightening than seeing them there. The possibility of them being there – knowing that they can see you, but you can’t see them.

“You’ve lost a lot of blood” è stata una lettura che a tratti mi ha davvero intrigata e a tratti mi ha lasciata perplessa. Non sono sicura che sia un esperimento del tutto riuscito, ma di certo mi ha lasciato la curiosità di leggere altro di LaRocca. Apprezzo sempre le stranezze, le sperimentazioni e un po’ di sano e poetico gore, sono proprio le letture che preferisco (come evidente da quanto mi sia piaciuto “Fornace” di Llewellyn), però mi piace che esplorino i loro temi per bene, senza il bisogno però di esplicitarli, mentre qui forse questo mi è un po’ mancato. Mi sono chiesta in più momenti quale fosse il punto… e poi se un punto dovesse davvero esserci.

The wind murmurs all around Tamsen, carrying with it the sound of distant voices.

Insomma, un romanzo (credo) che consiglio a chi vuole leggere qualcosa di strano, macabro e iper-poetico, o a chi interessa un raccontino sui videogiochi fra l’horror e lo si-fi, o ancora a chi è incuriosito dalle elucubrazioni mentali di due assassini.
E a chi non ha paura di sentirsi un po’ confusə, un po’ disturbatə e un po’ affascinatə.

“Ipnagogica” di Christian Sartirana

Ho già avuto modo di parlare della casa editrice Acheron Books nella mia recensione di Nightbird, quindi oggi voglio raccontare di un altro loro titolo, preso sempre nella stessa occasione del precedente (ricordate, quando le fiere del libro esistevano e potevamo girare per gli stand? ecco). Si tratta di “Ipnagogica” di Christian Sartirana, una raccolta di racconti pubblicata nel 2017 che potrete acquistare in ebook sul sito dell’editore e sugli store online, visto che il cartaceo sembra esaurito un po’ ovunque (ma dovrebbe tornare disponibile).

Trama:
Cinque racconti horror che vi condurranno lungo le strade perdute del Piemonte da incubo di Christian Sartirana, dove si incrociano fantasmi di vecchi carri funebri, bambini con gli occhi cuciti, porte che si aprono su luoghi sbagliati, e mani deformi dotate di vita propria…


Iniziamo dalla mia storia con il genere. Verso l’horror non ho una particolare opinione: non è il mio genere preferito e i libri dell’orrore che mi restano dentro sono spesso quelli molto umani e molto viscerali; però amo profondamente le raccolte di racconti e sono uno dei formati che ad oggi preferisco leggere in assoluto.
Quindi “Ipnagogica” parte avvantaggiata, ma viene anche aiutata dalla copertina (credo di poter dichiarare che la Acheron centri sempre il bersaglio, da questo punto di vista). Nonostante il soggetto principale riguardi uno dei racconti che meno mi ha colpito della raccolta, la copertina richiama i temi delle storie alla perfezione ed è “tutta da scoprire”, con piccole scritte che richiamano luoghi e nomi dei racconti.

Enzo avanzò a tastoni sul pavimento chiazzato di ombre. L’oscurità si condensava sotto i mobili, ondeggiando come qualcosa di liquido.

Ma veniamo a ciò che conta davvero: il contenuto.
Ipnagogica è scritto in modo semplice e scorrevole, senza abbellimenti ed escursioni stilistiche. Forse, qua e là, è una scrittura un po’ troppo asciutta per i miei gusti, ma arriva dritta al punto e non si risparmia di creare immagini intense e atmosfere cupe, anche grazie alla descrizione dei luoghi e alla trasposizione delle sensazioni provate dai personaggi.

Tutti i volti avevano la medesima faccia. Vale a dire nessuna.
Superfici lisce, solcate soltanto da ombre di vuoto e incapaci di qualunque piega emotiva.

I cinque racconti della raccolta sono molto variegati e toccano un po’ tutte le atmosfere dell’horror, dalle metamorfosi ai fantasmi, dalla stregoneria al weird. Il vero punto di forza, la vera originalità, l’ho però riscontrata nell’ultimo racconto, “La memoria della polvere”. Fortemente legato al territorio di Casale Monferrato e alla sua storia, in questo racconto l’atmosfera si fa malinconica in modo quasi opprimente e il senso di sconforto e rassegnazione è palpabile. Non mi ha inquietata come hanno fatto, per esempio, “La porta” o “Una collezione di cattiverie” (il più efficace, secondo me, sotto questo punto di vista), ma è quello che mi ha lasciato dentro di più e che dà la giusta chiusa alle tematiche che si susseguono nei diversi racconti.

«C’è un’atmosfera pesante, non dirmi che non l’hai sentita anche tu. L’aria puzza come in una soffitta. Mi sembra di respirare la polvere.»

Come per tutte le raccolte, infatti, è possibile trovare un certo filo conduttore. Non è per forza lampante, spesso è frutto dei temi cari agli autori, ma c’è sempre qualcosa che lega le diverse storie. Qui, per esempio, è la mentalità ristretta che si associa tradizionalmente alle piccole cittadine, è il pettegolezzo, è il giudizio nei confronti degli altri, è l’apparenza da famigliola perfetta che si disgrega rivelando gli orrori che si nascondono dietro le facciate provinciali.

Ho sentito che si è ammazzata.
Chi te l’ha detto.
Il solito…
Palle! Sul giornale c’è scritto che è stato un incidente…
Risata.

E per dar luce (o, meglio, ombra) a questo tema portante, i personaggi dovrebbero avere un ruolo chiave. Ecco, vista la mia preferenza per le esplorazioni (eviscerazioni?) umane, ho sentito un po’ la mancanza di una caratterizzazione più intima degli esseri umani messi al centro di queste storie. È forse l’unico punto che considererei davvero debole di questa raccolta: si dedica dello spazio al vissuto delle famiglie, alle motivazioni di un trasferimento, ai fatti nudi e crudi che hanno preceduto il momento della narrazione, e poco a tratteggiare in modo efficace “chi siano” questi personaggi. Si tratta sempre di racconti, però, e a volte non è semplice riuscire a rimandare una personalità in uno spazio così ridotto, soprattutto se – come in questo caso – si predilige l’azione, l’atmosfera e la descrizione di luoghi, immagini e sensazioni.

«C’era sui giornali. Genitori abbandonano la figlia che muore soffocata nella culla…»
«Soffocata?»
«Sì, con un lenzuolo in bocca. Se l’è ingoiato per la fame, credo».

Quindi, ciò che a me non ha convinto del tutto potrebbe essere proprio ciò che appassiona un amante dell’horror, che troverà in questa raccolta esattamente quello che sta cercando. Se vi piacciono i racconti inquietanti e atmosferici, scritti in modo scorrevole, in cui le situazioni e gli avvenimenti sono il fulcro dell’orrore, allora questa raccolta potrebbe proprio fare al caso vostro!

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“Nightbird” Lucia Patrizi

Capita che, scoperto un editore italiano, io decida di dargli una possibilità alla cieca. Non leggo recensioni, non conosco il catalogo, non ho idea di come lavori. Di solito succede alle fiere e tanto lo fa il modo in cui si viene approcciati allo stand.
La Acheron Books pubblica libri fantasy, fantascientifici e horror (e sottogeneri affini) tutti ambientati in Italia e, arrivata davanti al suo stand, la passione per quello che fa mi è stata evidente da subito.
Ma il libro che ha catturato più di tutti la mia attenzione è “Nightbird” di Lucia Patrizi (che si può acquistare sul sito dell’editore, nei vari store e in libreria) ed è di questa lettura incredibile che vorrei parlare oggi!

Trama: Irene e Giada sono acchiappafantasmi professioniste. Ma il loro metodo di lavoro è un po’ particolare: Irene disinfesta i luoghi appositamente infestati da Giada al fine di procacciarsi nuovi, danarosi clienti. I quali credono di avere a che fare con lo spettro infuriato del proprio trisavolo, e non sospettano trattarsi invece di una messinscena ben orchestrata.
Sì, perché Giada è realmente un fantasma. Le sue sono vere infestazioni, seppur abusive. Ma questo non impedisce alle due ghostbusters di mantenere “vivo” il profondo, contrastato legame che le unisce, messo a dura prova dal terribile evento che ha segnato per sempre le loro esistenze: la morte di Giada.
Questo precario equilibrio si infrange quando, in una villa abbandonata sul lago di Bracciano, Irene e Giada si trovano di fronte a un’infestazione precedente alla loro. Una forza perversa, antica e brutale, si è risvegliata e minaccia di annientare tutto ciò che incontra.
È tempo allora di fare le acchiappafantasmi sul serio, anche se questo significa affrontare la più devastante minaccia sovrannaturale per Roma (e per il mondo intero) e fare i conti una volta per tutte con il passato.
E con la bicicletta chiamata Nightbird.


Se conoscete anche solo un poco i miei gusti, sapete già cos’ha catturato la mia attenzione in “Nightbird”. Sì, se c’è una storia lgbt+ in un libro di genere, tendo a comprarlo a occhi chiusi. Spesso questa mia tendenza mi ha lasciato con l’amaro in bocca, ma capita di incontrare poi libri come questo, in grado di far dimenticare tutte le delusioni passate.
“Nightbird”, infatti, è bello dentro e fuori.

Come sempre, partiamo dalle apparenze, perché chi dice che un libro non si giudica dalla copertina mente. Qui, l’illustrazione che ci presenta la storia è del bravissimo Giulio Rincione (Batawp) e oserei dire che alla Acheron gli piace vincere facile. L’immagine non solo evoca quello che troveremo all’interno, ma diventa ancora più significativa una volta letto il libro e conosciuta la storia. Scelta approvata, insomma, e che dimostra cura per dettagli che poi dettagli non sono.

Passando al contenuto delle pagine, descriverei “Nightbird” come un horror molto umano. I veri punti di forza non sono l’atmosfera tesa o le scene truculente – che pure ci sono e funzionano alla perfezione – ma gli esseri umani che portano avanti gli eventi.
La protagonista, Irene, è quello che vorrei sempre trovarmi davanti quando leggo un libro, specialmente se il libro in questione ha una protagonista donna. Irene è tosta, temprata da ciò che le è accaduto, ma non è invincibile, non è inspiegabilmente intoccabile, anzi. È una donna piena di fragilità, tenuta insieme dalla necessità di andare avanti e sopravvivere – all’infestazione di turno, certo, ma anche alla perdita e ai rimpianti.
Leggerla ed entrare nella sua testa – perché è questo che succede con un romanzo in prima persona – è stato un piacere, complice la fantastica introspezione della penna, nonostante le atrocità spaventose a cui veniamo sottoposti. Se dovessi identificare la caratteristica che più me l’ha fatta amare, direi che sono le sue contraddizioni. Sì, perché spesso mi ritrovo a leggere di personaggi coerenti con se stessi e con gli altri dall’inizio alla fine di un romanzo, e l’effetto non è altro che irrealtà, mentre qui Irene è tridimensionale e – come ho già detto – molto umana: è cinica, ma ha un suo codice morale; è distante, ma solo perché ha provato troppo ed è rimasta ferita; è coraggiosa perché ha imparato dalla sua codardia; era una ragazza giovane e insicura, insomma, che è stata trasformata dal trauma della perdita.

Di telepatia ne so qualcosa. Il mio cervello, per ragioni incomprensibili, riesce a entrare in contatto con i residui di chi è morto e a sentire le vibrazioni che ancora trasmette al mondo.

Irene è il fulcro e da lei si diramano tante tematiche che ho apprezzato. Primo fra tutte, com’è evidente dalla trama, il tema della perdita e dell’elaborazione del lutto. Giada, la co-protagonista, è una presenza fissa nella vita di Irene e un’infestazione nella sua mente e nel suo cuore. I loro scambi e la loro storia sono emozionanti, realistici, profondi, strazianti e tanti altri aggettivi che vorrei usare per descrivere tutto quello che mi hanno fatto provare, ma che vi risparmio per bontà d’animo.
La dinamica fra questi due personaggi si divide su due linee temporali – il passato e il presente – e obbliga a divorare pagine su pagine per capire cosa sia successo e come ci ritroviamo con Giada ridotta a un fantasma.
Così viene introdotto un altro tema del romanzo: la memoria. I ricordi sono parti preziose di Irene e riviverli non solo permette a noi di scoprire il passato, ma ha un peso all’interno della storia stessa. Un viaggio emozionante – a tratti struggente, perché condizionato dai rimpianti – che ci interessa sia per scoprire cos’è accaduto, sia per l’importanza che ricordare ha per Irene.
Non aspettatevi una storia d’amore drammatizzata, però, nonostante l’evidente morte di Giada: perfino questa dinamica è realistica e umana, fatta di incomprensioni grandi e piccole, di paure e di ostacoli, non solo di sentimenti profondi.

Ma mentre ero con Giada tornavo a essere intera, potevo dare spazio al fagotto terrorizzato che ero stata, non dovevo vergognarmi che esistesse, perché nessuno poteva farle male.

Aiuta di certo la scrittura dell’autrice, che dimostra tutta la sua efficacia in due punti in particolare: i dialoghi e le descrizioni. Non che manchi qualcosa a tutto il resto – la narrazione scorre fluida, le figure retoriche sono dosate e incisive, le introspezioni perfette e mai pesanti –, ma dialoghi e descrizioni rendono il tutto vivido e reale.
Sui dialoghi non spenderò troppe parole, perché sono parte dell’ottima caratterizzazione di tutti i personaggi, dalle protagoniste ai secondari. Ognuno ha una sua voce e questa voce è adatta alla sua personalità.
Ma le descrizioni meritano un approfondimento. Come ho detto, la Acheron Books si occupa di romanzi con ambientazione italiana e “Nightbird” si snoda con Roma sullo sfondo. Non una città distante e scenografica, ma una presenza che diventa quasi un altro personaggio. La esploriamo grazie al ruolo fondamentale che ha l’andare in bici per le protagoniste, che si conoscono proprio per una bicicletta e che si avvicinano grazie alla trasmissione di questa passione da Giada a Irene. Niente descrizioni lunghe e particolareggiate, ma scampoli di visioni, connotazioni emotive, piccoli dettagli intrecciati al tessuto della storia.
Mentre Irene pedala sentiamo il vento in faccia, l’odore della città, la fatica dei muscoli… e io in bici non ci so neanche andare!

Ho bisogno di sentire le vibrazioni dell’asfalto che dal manubrio mi salgono lungo le braccia e il formicolio all’altezza del gomito.
Mi serve il sudore lungo la spina dorsale, la fatica della salita, la gioia delle discese, la liberazione dei muscoli quando posso spingere con tutte le mie forze sui tratti pianeggianti.
È tutto così facile e naturale. È tutto come deve essere.

Difficile dimenticare, però, che “Nightbird” è un horror e che da quel punto di vista non fa sconti.
Le minacce esterne sono una costante pressione sul lettore, che si domanda come riuscirà Irene ad affrontarle uscendone indenne e, dovesse farcela, a quale costo. L’autrice inserisce tensione e paura, momenti evocativi molto lovecraftiani a vere e proprie scene splatter, azione ed emozione. I luoghi sono inquietanti e inquietante è ciò che si nasconde fra quelle mura… o sotto i letti.

Dietro di me, anche la belva ansimava. Una zaffata del suo fiato caldo mi ha spostato i capelli. Un odore nauseabondo, di polvere vecchia secoli, mi ha fatto salire un conato di vomito.

Consiglio questo romanzo a chi ama l’horror nelle sue declinazioni più umane, a chi cerca una lettura che superi le barriere del genere per esplorare l’interiorità dei personaggi nei suoi lati luminosi e in quelli più bui, a chi vuole una storia d’amore fatta di bellezze e brutture, a chi ama andare in bici e sfrecciare per Roma e a chi, come me, non lo farà mai ma vuole viverlo lo stesso.

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