Elena è stata uccisa.
Basta questo, una singola notte, per strappare a Lorenzo tutto ciò per cui ha lavorato duramente: la sua immagine, i suoi amici, quel sorriso di fossette e denti bianchi in grado di aprirgli le porte del mondo. Suo fratello Damiano è l’unico che può salvarlo da se stesso e dalla sua vera natura, ormai emersa oltre la maschera.
In una spirale di paure da affrontare e violenze da tenere a bada, Lorenzo cercherà di ricostruire i ricordi che qualcuno gli ha negato e farà di tutto per nascondere ogni scomoda verità su quella terribile notte.
Attenzione: questo romanzo breve tratta tematiche delicate e controverse che potrebbero turbare le persone impressionabili.
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PROLOGO
Gli occhi di Lorenzo sono spalancati sul vuoto, fissi, immobili. La persona che li illuminava di vita non è lì, non si nasconde dietro quelle pupille vacue.
Lorenzo è solo corpo.
Damiano lo trascina per le scale del condominio immerse nello sfarfallio di luci scadenti, gettando attorno rapide occhiate.
Un piano, un altro.
Le scarpe si trascinano sulla superficie liscia; suono frusciante nel silenzio immenso di quel percorso infinito. Damiano riesce a infilare la chiave nella toppa a fatica, il respiro corto, il braccio indolenzito per lo sforzo di reggere il peso di un intero corpo contro il suo.
Il peso di quello che era Lorenzo e che ora, semplicemente, non è.
Sono in casa e il buio li avvolge completamente, quando la porta si chiude alle loro spalle. Damiano allunga piano la mano, accarezzando il muro fino a raggiungere l’interruttore.
Ed è luce.
Su di loro, sui loro vestiti sporchi e bagnati, sulla loro stanchezza. Sull’involucro che è Lorenzo.
«Andiamo.»
La voce di Damiano riecheggia nella casa vuota, rimbalza per il corridoio che percorrono per arrivare al bagno, stretti uno all’altro.
Ennesima luce, ennesima rivelazione.
Lorenzo è improvvisamente incuriosito dall’immagine che lo specchio gli rimanda: uno sconosciuto con la sua pelle cucita addosso, con i suoi capelli, i suoi occhi, il suo viso, il suo corpo. Uno sconosciuto bagnato e infreddolito. Qualcuno gli ha rubato tutto.
Damiano entra in quel riflesso con prepotenza, afferra per le spalle Lorenzo e lo volta. Ha l’espressione decisa e le sue mani ribadiscono quella stessa determinazione. Si fissano per lunghi, estenuanti attimi, poi Damiano si avvicina al collo di Lorenzo, stringe la lampo fra le dita e la abbassa, aprendo il tessuto scuro. La felpa cade al suolo con un leggero tintinnio metallico e l’acido suono di stoffa bagnata. Il bordo della maglietta, stretto in pugno e poi sollevato, si incaglia al corpo di Lorenzo come a non volerlo abbandonare, ma perde quell’inutile lotta e si separa dalla pelle. Un ultimo strato, una nudità a metà fatta di sfumature olivastre e di muscoli, carne, ossa, anima, paura. Lì non ci sono macchie da lavare, solo l’incresparsi di brividi. Non c’è rosso sangue se non quello impercettibile della pelle che non è mai solo rosa, ma blu, verde, gialla, con ampi spazi d’ombra scavati dalla luce.
Damiano continua quell’opera silenziosa e attenta. Le sue dita si insinuano fra il bottone dei jeans e l’asola, liberando il metallo dalla stoffa, facendo scorrere la lampo lungo la cerniera. I pantaloni e l’intimo strisciano lungo le gambe fino alle piastrelle lucide.
Lorenzo resta solo pelle. Nudo di una nudità vuota.
«Dai.»
La piccola incitazione sussurrata da Damiano squarcia quel silenzio come un urlo, tanto che Lorenzo sobbalza e lo guarda, quasi ad accorgersi solo in quel momento della sua presenza. La sua espressione si tinge di confusione e dubbio, ma si lascia guidare fin dentro la vasca e si siede sulla ceramica fredda.
L’acqua scorre subito dopo, riscaldandolo lentamente, infrangendosi sull’epidermide in frustate continue. La condanna non è dolorosa, però. Non per il suo corpo, almeno. Non come la breve e insistente pioggia che li ha sorpresi sulla via del ritorno.
Damiano raccoglie i vestiti da terra, rapido, prima di sparire oltre la porta. Quando torna, anche lui è nudo. Entra nella vasca, alle spalle di Lorenzo, in una sequenza di movimenti chirurgici, senza dispersione inutile di energie. Con la spugna trattenuta fra le dita sottili gratta via dal corpo dell’altro quello che è accaduto, sostituendolo con schiuma bianca e la pulita sensazione che tutto possa essere sistemato. Quando ha finito, quando ha velocemente compiuto gli stessi gesti su di sé, lascia che l’acqua lavi via tutto.
Esce per primo, si avvolge nell’accappatoio e si dedica a Lorenzo. Lo aiuta a muoversi come un grottesco pupazzo, lo asciuga, lo guida in camera. Lì lo veste con un paio di boxer e una maglietta, prima di fare velocemente la stessa identica cosa con se stesso, continuando a mimare due volte ogni mossa.
Alla fine alza le coperte del letto e Lorenzo ci si infila dentro. Sobbalza appena nel sentire un rumore provenire dal corridoio, ma è solo la lavatrice.
I vestiti, certo.
I vestiti sporchi di sangue, ovvio.
Improvvisamente sente freddo. Un freddo intenso e intollerabile, che lo obbliga a rannicchiarsi per cercare calore nel suo stesso corpo. Damiano entra nel bozzolo delle lenzuola e stringe forte fra le braccia quell’essere così fragile e sperduto. Il ragazzo che non sa chi è, che si è spezzato. Lo stringe tanto, a lungo, come a voler mantenere insieme i pezzi. Ma non basta.
Perché Lorenzo, quando parla, deve ingoiare i singhiozzi che hanno iniziato a scuoterlo.
«L’ho uccisa.»