SALONE DELLA CULTURA 2020

Gennaio sta durando un intero decennio, ma io non mi faccio scoraggiare dalle temperature o dal letargo. Sono ormai quattro anni che si tiene il Salone della Cultura (quello che ancora, in amicizia, chiamo “fiera del libro usato”) e sono quattro anni che non me lo faccio scappare. La nostra è ormai una relazione stabile e posso dire di aver visto l’evento crescere sotto i miei occhi. Ricordo ancora i tempi in cui un posto chic come il Superstudio Più ce lo potevamo solo sognare!

Anche quest’anno un biglietto di cinque euro per l’ingresso di una giornata, cifra perfetta non solo perché quello che si trova all’interno la vale, ma per la selezione di visitatori che un evento a pagamento comporta. Non so come la pensino davvero i venditori, ma le persone che passeggiano fra gli stand sono quelle più interessate (forse più propense a comprare?) e si riesce a camminare senza essere inghiottiti dalle folle dei primi anni, quando l’evento era gratuito e preso d’assalto.

La scelta di mettere i micro e piccoli editori nella parte iniziale si dimostra ancora una volta la migliore. In questo modo avranno davvero la possibilità di farsi vedere e saranno invogliati a partecipare, arricchendo la fiera di una realtà che a volte viene un po’ trascurata. Nella sala laterale in cui venivano relegati gli editori un tempo, oggi si trovano gli stand dei librai antiquari (non solo italiani), e perfino chi non ha alcun interesse a spendere una fortuna per un tomo di araldica vecchio di secoli resterà a bocca aperta davanti a tanta bellezza.

Nella parte più grande, dedicata ai libri usati, tantissimi stand con prezzi vantaggiosi e occasioni. È facile spenderci un intero stipendio senza rendersene conto, per farla breve. Ma sono riuscita a rispettare la promessa fatta a me stessa di non accumulare libri senza freni, un po’ grazie alla riscoperta della biblioteca vicino casa (ora che l’hanno rimessa a nuovo dopo un incendio), un po’ perché abbiamo effettivamente una casa tutta nostra e un po’ perché la mia lista di libri da leggere ha già proporzioni mastodontiche senza bisogno della mia compulsione a comprare libri.
Per sbirciare il mio unico acquisto, mi trovate su instagram.

Se vi trovate dalle parti di Milano, la fiera è aperta anche oggi (domenica 19 gennaio 2020) e vale la pena visitarla!

IL SALONE DELLA CULTURA 2019

A Milano, gennaio ci fa venire voglia di entrare in letargo e uscire solo quando un raggio di sole filtra oltre lo smog. Così, per tutta la strada che separava la fermata del tram dal Superstudio Più che ha ospitato il Salone della Cultura, non ho fatto altro che pentirmi di essere uscita di casa.

È andata meglio all’interno, ma solo dopo aver superato insoliti problemi con i biglietti: sono stata indirizzata alle casse per l’acquisto e sono tornata indietro per farli scansionare (fin qui tutto nella norma), peccato che il biglietto del mio ragazzo sia stato letto subito e il mio no; l’addetto agli ingressi ci ha provato una singola volta e poi mi ha chiesto di passare alle casse dove avevo appena acquistato l’ingresso, non si sa bene con la speranza in quale risultato. Perfino il cassiere mi ha guardato sperduto quando gli ho spiegato cosa stesse succedendo. Alla fine, in un altro ingresso, i biglietti sono stati letti senza problemi. A volte basta intestardirsi… o, beh, provare più di una volta.

E lo so, lo so che questa lamentela è sterile e non serve a niente, ma sto facendo il resoconto della mia giornata ed è l’una di notte, orario standard a cui mi ritrovo per scrivere questi post, quindi mi si passi un filo d’acidità.
Per il resto non mi posso lamentare dei giovani volontari (o poco più?) che sono stati selezionati come staff, perché sono giovani e volontari, appunto, e sono stati tutti gentilissimi a dare indicazioni, gestire il guardaroba e timbrarci il dorso delle mani per farci entrare e uscire (una cosa che le celebri fiere dell’editoria potrebbero imparare, evitando di imprigionare dentro chi paga il biglietto perché vale “un ingresso” e non “una giornata”).

Un punto a favore di quest’edizione è stata la disposizione degli stand. L’anno precedente i piccoli e medi editori erano relegati in una stanza che non era di passaggio e che è rimasta, di conseguenza, deserta (come abbiamo ricordato con Elena del blog Sogni di carta e altre storie, che consiglio di visitare). Quest’anno, invece, era obbligatorio passare per i loro stand prima di entrare nella parte dedicata all’usato e all’antico, e la loro sezione è sembrata molto più frequentata e vivace. Lo trovo giusto, perché sono realtà che molti conoscono poco e trovarsele davanti agli occhi è più facile che andare a cercarle con intento per i locali.
Nella sala che occupavano l’anno prima sono stati messi gli stand con i libri d’antiquariato e i laboratori di carta e rilegatura, perché quelli sì che hanno un loro pubblico e delle persone interessate a seguirli nonostante la sistemazione spaziale.

Non ho comprato molto. Come sempre il mio ragazzo ha razziato lo stand della Hypnos con quello che gli mancava e io ne ho approfittato per recuperare due volumi della prima edizione di Harry Potter che mio padre mi ha disperso fra un trasloco e l’altro (che. dolore.)
C’era molto da vedere, spulciare, selezionare, ed è stato divertente farlo, come ogni volta, ma se c’è una lezione che il trasloco e il nuovo anno mi hanno insegnato è quella di comprare solo i libri che voglio ardentemente, che desidero con tutta me stessa, che bramo con la potenza di mille soli… insomma, ci siamo capiti: ho fatto la brava e non ho inflitto alla nuova libreria più peso di quanto già non ne sopporti.

Se l’evento continuerà a migliorare e a trovare un modo sempre più efficace di accogliere il pubblico, come sta dimostrando, io continuerò a frequentarlo e ad affrontare il freddo d’inizio anno solo per lui. E, forse, ma solo forse, riuscirò a essere sempre più brava e a comprare sempre meno libri.

NANOWRIMO 2018

Ci risiamo, è novembre, e come ogni anno i miei amici che non hanno a che fare con la scrittura si chiedono di cosa diavolo io stia continuando a parlare sui social.
Sì, perché novembre è il mese del NaNoWriMo, il National Novel Writing Month: un evento lungo trenta giorni e aperto a tutti in cui chi scrive si pone l’obiettivo di buttare su carta cinquantamila parole (possibilmente la bozza base di un romanzo).
Questo sarà il mio terzo anno e, assieme alla sfida principale novembrina, mi sono impegnata in quasi tutti i campeggi virtuali associati. Due volte all’anno, infatti, ci si sfida di nuovo, questa volta stabilendo il proprio obiettivo personale, immaginando di ritirarsi in campeggio per dedicarsi solo e soltanto alla scrittura.

Certo, come ho già scritto negli articoli passati (qui e qui) il NaNoWriMo non è per tutti, mentre i campeggi – essendo più elastici – possono adattarsi a molte più persone (per esempio, l’obiettivo personale di un CampNaNoWriMo può essere “scrivere un’ora al giorno”).
Credo però di non aver mai parlato un po’ più nel dettaglio di come funziona, di chi – secondo me – farebbe meglio a evitarlo e di chi, invece, potrebbe trarne beneficio.
Prima di tutto, come ogni evento online con un sito, ci si iscrive dando un indirizzo email, una password e un nickname. Non è richiesta alcuna quota di partecipazione, ma si può decidere liberamente di donare per sostenere il progetto.
Fatto questo primo passo, c’è chi compila il profilo nei minimi dettagli (la sottoscritta) e chi lo lascia con le informazioni di base fornite all’iscrizione. Non è un problema, l’importante è annunciare il proprio romanzo o, per dirla con parole non rubate direttamente al sito (che è in inglese), caricare il titolo. Sì, basta il titolo, ma si può decidere di postare anche una sinossi, un estratto e una copertina, per quanto provvisoria.

Fatti questi primi passi, il sito permette di aggiornare il conteggio delle parole ogni volta che si vuole, che siano le parole totali dell’intero progetto o le parole della singola sessione di scrittura. La quota si riflette su un “simpatico” grafico e su una serie di statistiche che permettono di tenere d’occhio i progressi. Non mancano poi, nella posta del proprio profilo sul sito, i messaggi motivazionali di scrittori più o meno celebri e partecipanti al NaNoWriMo che “ce l’hanno fatta”.

 

Per chi è utile il NaNoWriMo, quindi?
Per chi vuole provare qualcosa di nuovo, prima di tutto, dopo un periodo in cui la scrittura è diventata un po’ stagnante; per gli underwriters (quelli che scrivono quantitativamente poco, al contrario degli overwriters) in cerca di una spintarella per buttare le parole sulla carta – ok, sullo schermo; per chi vuole costruirsi una routine e non sa da dove partire; per chi ha un’idea da tempo, ma trova una scusa o un’altra per non sedersi al computer e concretizzarla in un romanzo.
Sconsigliato, invece, per chi prova ansia ponendosi un obiettivo difficile da raggiungere, per gli overwriters che cinquantamila parole le raggiungono fin troppo facilmente, per chi ha già una routine consolidata che non è il caso di stravolgere (magari sincronizzata con un lavoro che tiene troppo occupati per scrivere quote giornaliere e consente solo lunghe sessioni nel week end).
In entrambi i casi, si tratta della mia visione dell’evento. Non è detto che un overwriter non possa partecipare e trarre beneficio dal NaNoWriMo, né che chi è ansioso non debba provare almeno una volta, e così via.
Ha i suoi lati positivi, quindi, ma non è un rito di passaggio obbligato che si adatta a tutti. Né è il caso di denigrarlo se non fa al caso nostro, come mi è capitato di sentire in giro per il web (“se si vuole fare gli scrittori si scrive tutto l’anno, mica solo a novembre”; certo, ma scrivere il resto dell’anno non esclude di poterlo fare a novembre con altre persone all’interno di un evento, no?). Dipende dalla situazione, dal tipo di scrittore, dal tipo di progetto, com’è ovvio che sia. Io ci ho scovato alcune delle persone con cui mi ritrovo più spesso a scrivere e scambiarmi opinioni sulla scrittura, quindi non posso che apprezzarlo. Inoltre sono una dannatissima underwriter e mi servono tutte le spinte possibili per sputare fuori le parole.

Questo novembre tornerò alle origini e proverò a finire il progetto dal nome in codice “Numero Zero” (che prima o poi dovrà essere battezzato, lo so). Ne ho parlato qui e qui, per rendere l’idea di quanto sia cambiata l’idea nel tempo, ma ho anche creato una playlist (triste, anzi tristissima) che mi tiene compagnia mentre scrivo e una bacheca pinterest per motivarmi e ispirarmi con qualche immagine. Due attività che consiglio, nelle pause dalla scrittura, a chi partecipa al NaNoWriMo (o a chi scrive in generale e cerca di restare motivato e ispirato, appunto).
Novembre è un mese pieno, ma quest’anno ancora di più perché, se tutto va bene, a fine NaNoWriMo sarò nella nuova casa!

SULL’AUTO-EDITORIA, DOPO LIBRI IN BAIA

In un’entrata laterale sulla Baia del Silenzio, a Sestri Levante, si è tenuta la seconda edizione di Libri in Baia. Una piccola fiera che ha dato spazio soprattutto agli emergenti – singoli autori, certo, ma anche editori–, ad alcune librerie e a studi editoriali.
Se è difficile attirare pubblico nelle grandi città quando si tratta di libri, ancora più difficile è in questo contesto. Dalla parte di LiB, però, c’è stato un week end uscito direttamente dall’estate passata e un’ambientazione davvero bella, che permetteva alla gente di farci un salto direttamente dalla spiaggia per curiosare fra i libri.


La parte più vivace è stata sicuramente quella rivolta ai bambini, mentre è sempre più complicato presentare libri e tenere interventi che attirino gente, durante questi eventi. Soprattutto quando le indicazioni per raggiungere gli spazi sono fornite in modo un po’ vago dagli addetti.


Io sono andata per sentire Sara Gavioli, che seguo volentieri da tempo (qui la sua pagina Facebook, il profilo Instagram e il canale YouTube), e Gabriele Dolzadelli (qui la sua pagina Facebook e il suo profilo Instagram, nonché il gruppo Self Publishing Italia che amministra) parlare di auto-pubblicazione. La prima è una editor freelance che lavora anche con alcune case editrici, il secondo è autore – self, appunto – della saga Jolly Roger.
Sono rimasta piacevolmente soddisfatta dal modo in cui è stato affrontato il discorso, senza ignorare i difetti di un mondo “democratico” fino all’eccesso, ma ricordando anche gli aspetti positivi, che spesso vengono snobbati e sminuiti non solo dai lettori, ma dagli stessi addetti ai lavori.


Diciamolo: da autrice self, quando un emergente snobba questo mondo, storco sempre un po’ il naso e la mia stima tende a calare. “E, ma da lettore non ho voglia di star lì a cercare la qualità in mezzo alla spazzatura” è la frase che si dice più spesso, senza rendersi conto che è un discorso semplicistico, perché può essere valido anche per le piccole case editrici che pubblicano emergenti, a essere sinceri, e per qualche editore anche più celebre (viste le polemiche degli ultimi giorni). Insomma, la spazzatura la vogliamo solo con un bel marchio conosciuto sopra, altrimenti ci si indigna e non poco.
Il problema è che, quando si è autori, un occhio a come si muove l’editoria non fa male e porsi “al di sopra” di uno dei fenomeni più rivoluzionari (e ancora da capire, non lo metto in dubbio) del mercato è quantomeno ingenuo. Questa frase, poi, l’ho sentita in decine di occasioni, a volte da autori che successivamente si sono imbarcati proprio nell’auto-pubblicazione (lo sottolineo, perché a quel tempo l’ho trovato non poco ironico).
Nessuno può obbligare qualcuno a leggere o comprare libri di autori che si sono messi sul mercato senza la mediazione di una casa editrice, certo, ma rifletterci concretamente, senza i “sentito dire” che riempiono tante bocche, non credo farebbe male a chi scrive e vorrebbe farne un mestiere (o una carriera secondaria, almeno), anche se le sue scelte personali ricadono poi sull’editoria tradizionale.

Tutto questo, ovviamente, è un mio pensiero, una mia considerazione su un intervento che non si è concentrato su un singolo aspetto, ma ha esposto le dinamiche del self e i suoi meccanismi in generale, il lavoro necessario se si vuole prendere questa strada e le insidie che aspettano l’autore nel mondo complesso del auto-editoria – come sarebbe meglio parlarne per descrivere adeguatamente questa realtà.
Sì, perché con il self publishing si diventa editori di se stessi, com’è stato ripetuto più volte, e un editore ha tutti gli interessi a vendere un buon prodotto: l’editing, la grafica, la promozione sono tutti aspetti fondamentali, da fare secondo le proprie possibilità, ovviamente, ma mantenendo un certo standard di professionalità.

Consiglio di guardare il video dell’intera discussione, perché le considerazioni professionali di Sara si sono bene intrecciate all’esperienza diretta di Gabriele, dando così degli ottimi spunti di riflessione.
L’anno prossimo cercherò di ritagliarmi più tempo per vivere fino in fondo un evento che mi è sembrato interessante e che di certo merita un approfondimento, sperando di trovare altri interventi stimolanti quanto questo

SALONE DEL LIBRO DI TORINO 2018

Sono le undici e mezza di sera – d’accordo, è notte – ma io devo parlarvi della mia giornata. So che vi sono mancata e sento il bisogno fisico di sopperire con il mio commento sul Salone del libro di Torino. Siate felici con sobria moderazione.

Premessa: non elencherò la sfilza di libri che ho acquistato perché, prima di tutto, mi sento in colpa e perché, se mi seguite su instagram come di certo fate (immaginatelo detto con voce minacciosa, la stessa di vostra madre quando vi dice che “sicuramente avete chiamato parente X per il suo compleanno, no?”), sapete già tutto. Ho la dote delle stories tremolanti mentre rientro in macchina, io.

Veniamo al Salone.
Sono riuscita a incastrare una visitina lunga un solo pomeriggio fra i duemila impegni che la vita adulta richiede (cercare casa, per esempio) e l’uscita di un libro pubblicato da self esige (impaginazioni, correzioni, promozioni, tante –zioni). Il motivo della mia visita era del tutto interessato: Olimpia E. Petruzzella era lì per firmare le copie del suo romanzo e farlo conoscere al mondo. Dal momento che girerò un video in cui lo consiglio in modo approfondito, dico solo che Olimpia è per me una risorsa preziosa e che il suo “Il peso delle parole” è bellissimo. Stop, fine, basta.

Questo non mi ha impedito un giretto fra gli stand e un’occhiata a una fiera che non avevo mai visitato prima di oggi. Certo, le ho trovato qualche pecca, ma mi si passi l’essere una milanese imbruttita che – se non le viene indicato TUTTO con grosse frecce e cartelli – tende a perdersi in un bicchiere d’acqua. E ad annegarci dentro dopo giorni passati ad aspettare soccorsi che non sanno manco che sei in quel bicchiere d’acqua perché c’è stato un problema con l’aereo e il pilota ha cambiato rotta e…
Sto guardando Lost per la prima volta, scusate.

Certo, il Salone di Torino mi ha fatto sentire davvero dispersa, con le indicazioni un po’ vaghe che fornisce all’interno degli spazi immensi del Lingotto. Non parlo dell’aggirarsi fra gli stand in sé (diciamolo, nessuno ha mai un metodo in quello), ma dell’arrivare dal parcheggio ai padiglioni, per esempio. O uscire e ritrovare il parcheggio, per dire. Abbiamo incrociato tantissima gente dallo sguardo vacuo che sussurrava “di qua… no, no, aspetta, di là…”
Diciamolo però, il Salone non soffre delle mie personali lamentele, ma di problemi strutturali ben più gravi che ne rendono continuamente il futuro incerto. Ovunque si trovano le informazioni sui suoi trascorsi turbolenti: fornitori che attendono pagamenti, debiti non indifferenti, accordi che sono stati strappati con le unghie e i denti. Per non parlare dei grandi editori, che quest’anno c’erano, ma poi chissà…
Sembra che l’affluenza di quest’edizione, però, sia stata consistente e io ne sono contenta, perché è comunque un buon segnale e, se proprio non potrà risolvere alcuni problemi, sono certa che aiuterà in altri. E poi significa che la gente legge, che è sempre una gran bella realizzazione.
Tornando all’organizzazione, le carenze sono evidenti anche se tutto sommato sopportabili. Pochi gli addetti ai controlli per la sicurezza, con conseguenti file chilometriche (che io ho saltato per l’orario furbetto a cui sono andata e che, mi si dice, siano stati gestite meglio dal primo giorno in poi) e pochi i posti in cui sedersi (con persone accampate per terra in modo molto triste, famigliole comprese). Ecco, se c’è una cosa per cui il paragone con Tempo di Libri mi è sfuggito – chiedo perdono – è la gestione di queste piccole cose; lì c’era un intero spazio con tavoli e panche in cui sedersi a prendere fiato, mangiare un boccone, chiacchierare un attimo degli acquisti.
In ogni caso, me la sono goduta perché c’erano i libri. Sono un animo semplice e tanto mi basta, quando non devo trarre conclusioni più ampie (ovvero quando è praticamente mezzanotte).

Che poi, io, a questi eventi, i grandi editori non li calcolo mai. Faccio la snob – o la snob al contrario – e mi fiondo sulle realtà più piccole, quelle che sì, puoi trovare in qualche libreria indipendente o in scaffali dispersi dei grandi nomi, ma che qui brillano con tutto il loro catalogo in bella mostra. Quelle che ti parlano, che ti coinvolgono, che si raccontano. Perché se vuoi stare in quest’ambito (da autore, editor, grafico, o qualsiasi altro ruolo), è lì che vuoi – e forse devi – guardare.
Per ben tre fiere di vario tipo ho resistito alla tentazione di razziare lo stand della Dark Zone, consapevole che prima o poi Olimpia avrebbe fatto uscire con loro il romanzo, e oggi mi sono finalmente tolta lo sfizio. Ok, gli sfizi. Altri editori piccoli e medi, invece, hanno già ricevuto sonanti denari da me in passato – cito la Hacca edizioni perché è bella bella e la amo – quindi mi sono limitata ad annusare i libri da buona drogata quale sono.

Questo è quanto. Buonanotte!

BOOK PRIDE 2018 (e book haul)

Come per Tempo di libri, quest’anno non mi sono voluta far mancare il Book Pride, ossia la fiera dell’editoria indipendente al Mudec di Milano.
Anche per questo evento il mio bilancio è positivo, ma il portafoglio non ne può più e continua a pregarmi di smetterla di comprare libri e darmi all’eremitaggio (così da avere il tempo effettivo per leggerli).

Interventi di ogni tipo sul tema “tutti i viventi” e due piani di stand con editori più o meno noti nel panorama indipendente mi hanno tenuta impegnata per un pomeriggio. Fra le presentazioni di nuove pubblicazioni, vino e vodka offerti ai lettori – perché si tratta pur sempre di ambienti “indie” – ad aggirarsi fra i corridoi strapieni di libri ci si poteva imbattere perfino in performance artistiche.

Io mi sono ripromessa di acquistare solo libri a tema LGBT+ per darmi una regola che contenesse la mia smania di acquistare. Ovviamente, con un tema generale dell’evento così, era destino che io trovassi una quantità incredibile di libri in grado di solleticare il mio interesse. Infatti, come ogni metodo che dovrebbe prevenire il binge-shopping, non ha funzionato a dovere…
Ho comprato da Hacca – Ho dormito con te tutta la notte” di Cristiana Alicata, Uno in diviso” di Alcìde Pierantozzi – e da Manni – Gay everyday. Racconti dalla quotidianità omosessuale e Mio figlio in rosa” di Camilla Vivian.
Inoltre, non ho resistito alle bellissime raccolte epistolari di L’Orma e ho portato a casa – un regalo reciproco fra me e la mia metà –  le lettere tratte dalle opere di Shakespeare (Non chiedere ragione del mio amore) e quelle di Lovecraft (L’età adulta è l’inferno).

Sicuramente ha contribuito il fatto di essere lì con due delle mie persone preferite e che stessi festeggiando il mio compleanno, ma è stata una bella giornata, per quanto stancante. Il Book Pride è stato organizzato alla perfezione e, a parte il solito caldo degli eventi milanesi, siamo riusciti a girarlo tutto e a chiacchierare con qualche editore (o chi ne faceva le veci).
Credo che ci voglia davvero tanta, tanta passione (oltre alla professionalità, alla dedizione, alla conoscenza, a… va beh, ci siamo capiti) per essere un editore nel panorama italiano. Eventi come questo lo dimostrano.

 

TEMPO DI LIBRI 2018 (e di book haul)

Sotto la pioggia che si è abbattuta su Milano, è arrivato Tempo di Libri, la fiera internazionale dell’editoria. I padiglioni di fieramilanocity (categoricamente da dire tutto attaccato) hanno ospitato stand di grandi, medi e piccoli editori, nel caldo torrido del riscaldamento interno.

Il mio bilancio è positivo. È stata organizzata bene ed è stato piacevole aggirarsi fra le pubblicazioni di quegli editori che sono più difficili da scovare, ma che hanno un bel catalogo. Loro, almeno, qualche sconto o qualche promozione li facevano. E sì, questo è un commento passivo-aggressivo nei confronti dei grandi editori che non solo hanno mangiato un sacco di spazio com’è ovvio, ma non hanno neanche fatto un piccolo, minuscolo “sconto fiera” (a parte la Feltrinelli, che distribuiva dei volantini con il 15% di sconto, utilizzabili fino ad aprile). Io li ho lasciati per ultimi e mi ci sono avventurata solo lunedì mattina, perché si tratta di case editrici enormi con negozi altrettanto grandi sparsi per tutta Milano e non avrebbe avuto molto senso, per me, avventurarmi fra i loro scaffali provvisori.

Ho saccheggiato lo stand delle edizioni Hypnos (“X come occhi” di Barron, “Il nero visibile” di Ballingrud e “La ricerca onirica di Vellit Boe” di Johnson); della Mimesis (“Fare e disfare il genere” di Butler) e della NN editore (con tanto di autografo su “A misura d’uomo” di Camurri) – case editrici da cui mi era già capitato di acquistare –, ma ho anche comprato da zona42 che pubblica fantascienza (“Madre nostra” di Paparozzi) e da Carta Canta (“Maiali e Cani” di Savardi).
Inoltre ho ceduto alla tentazione e alla Triskell ho ordinato tutti e tre i volumi della serie “Captive Prince” di Pacat che arriverà a casa giusto in tempo per il mio compleanno, visto che lo stand era stato razziato.

Non ho assistito praticamente a nessun intervento – nonostante le giornate tematiche e gli ospiti promettessero di essere interessanti –, perché in due giorni non è stato facile organizzare i miei tempi con quelli della fiera. Spero di rifarmi l’anno prossimo!
Restando in tema di organizzazione personale, la nota davvero negativa è che quest’anno non ho partecipato al Cartoomics, vista la coincidenza delle date. Spero proprio che l’anno prossimo i due eventi cadano in giorni diversi perché non voglio perdermeli e non posso proprio sdoppiarmi (con vostra gioia e mio dispiacere).

Pro:
– Ritrovarsi libri ovunque
– Chiacchierare con qualche autore e con altri lettori
– (Ri)scoprire realtà diverse dalle grandi CE
– Ottenere libri dai medi editori con promozioni varie
– Incontrare qualche amico internettiano (quel “Donatella!” che mi ha un po’ spaventata, perché il mio nome intero lo usano solo per sgridarmi, di solito)
– L’organizzazione in generale
– LIBRI OVUNQUE!

Contro:
– Il caldo soffocante
– Non hanno biglietti con la data specifica, quindi se entri non puoi uscire e poi rientrare (anche se i biglietti in prevendita sono nominali).
– Mancanza di sconti o promozioni delle grandi CE
– Il costo esorbitante per una bottiglietta d’acqua

LA FIERA DEL LIBRO USATO 2018

Pochi sono gli eventi che aspetto e che non mi perdo neanche un anno. Uno di questi è la fiera del libro usato a Milano.

Il passato sabato (20 gennaio), infatti, sono approdata in via Tortona per perdermi fra i libri usati e fuori commercio. Non scrivo “antichi” solo perché quelli non posso permettermeli e devo limitarmi a guardarli.
Da quello che ho capito, quest’anno l’evento è stato identificato come “Salone della Cultura” perché accorpata all’evento omonimo. È stato l’anno dei cambiamenti – più del solito, visto che in principio la facevano molto più vicino a casa mia – perché, oltre al nome, quest’anno ci ha sorpresi con un ingresso a pagamento (5 €) e con qualche laboratorio che era proprio del Salone della Cultura. Non ho partecipato a questi ultimi, perché ho appena le energie per girare tutta la fiera senza crollare come una bimba, ma non mi ha infastidito troppo pagare l’ingresso, visto il prezzo irrisorio. Certo, non so quanto possano dire lo stesso i commercianti, che magari si sono ritrovati con meno clientela e con persone che non solo dovevano pagare gli acquisti, ma anche l’ingresso, con conseguente, possibile cattivo umore.…

Non ero alla ricerca di un libro particolare, perché vado per lasciarmi ispirare da amori improvvisi con qualche titolo, ma devo dire che non è stato un anno ricco per il mio bottino. Ho acquistato libri che avrei potuto trovare tutto l’anno in qualche libreria specializzata in libri usati (non sono poi “così” fuori commercio e ho la fortuna di vivere in una città che conta una quantità spropositata di Libraccio) e perfino un libro nuovo.
Perché andare, quindi?

Beh, prima di tutto per sbirciare i libri antichi di cui ho parlato all’inizio. Sono belli a dir poco, uno spettacolo che non capita spesso; per immergersi in un’atmosfera fatta solo di libri, libri e libri, poi; per trovare qualche prodotto “collaterale” di difficile reperibilità come poster di vecchi film, fumetti e manga fuori commercio; infine per dare un’occhiata a tutta la parte di salone dedicata ai piccoli editori che si occupano di scrittori emergenti o di pubblicazioni particolari.
Una menzione speciale a due case editrici: la Hypnos, di cui abbiamo in casa praticamente ogni pubblicazione e che raccomando a tutti gli appassionati di letteratura weird e fantastica, e la DarkZone, che ha un gruppo molto attivo su facebook e fa dell’ottima pubblicità ai suoi autori.
Potrei sfinirvi di infiniti dettagli su quello che ho fatto (ottime piadine, pessimo caffè) e che non sono riuscita a fare (girare tutte le piccole case editrici), ma vi lascio con questo resoconto essenziale.

(Vi ricordo che mi trovate su instagram per restare aggiornati sulle mie esperienze in ambito di lettura e di scrittura!)

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