“Così si perde la guerra del tempo” di Amal El-Mohtar e Max Gladstone è stata la prima lettura che ho fatto quest’anno e vorrei dire che ha stabilito il precedente per tutte le altre letture, ma la verità è che poco altro di ciò che l’ha seguito mi ha lasciato la stessa impressione. Quindi oggi ve ne parlo, così potrete decidere se questo volumetto fantascientifico che di fantascientifico ha solo il contorno può fare al caso vostro!
Trama:
Tra le ceneri di un mondo in rovina, Rossa trova una lettera: “bruciare prima di leggere”. Inizia così la strana corrispondenza tra due agenti rivali, in una guerra che si dipana attraverso le vastità del tempo e dello spazio. Rossa è membro dell’Agenzia, una distopia tecnologica post singolarità. Blu appartiene al Giardino, un’unica ampia coscienza che risiede in tutta la materia organica. I loro passati sono pieni di sangue; i loro futuri si escludono l’un l’altro. Non hanno nulla in comune, se non il fatto che sono le migliori. Sono sole. Ma quella che è iniziata come una serie di provocazioni e sfoggio di vittore, diventa presto un gioco pericoloso, che sia Rossa sia Blu son ben determinate a vincere. E così la sfida si trasforma in qualcosa di più. Qualcosa di epico. Qualcosa di romantico. Qualcosa che potrebbe cambiare il passato e il futuro… e che potrebbe farle uccidere. Perché in fine dei conti c’è pur sempre una guerra in corso. E qualcuno deve vincerla. Non è così che funziona?
“Così si perde la guerra del tempo” racconta la sua storia attraverso le narrazioni in terza persona che seguono le due protagoniste – Rossa e Blu – e le lettere che le due si scambiano per provocarsi prima e conoscersi poi. Il tutto con uno stile lirico, che non spreca tempo a prendere per mano il lettore per indicargli ogni singolo dettaglio del mondo creato, ma si preoccupa di trasmettergli delle atmosfere e delle impressioni.
Certi giorni Blu si chiede perché qualcuno si sia preso la briga di creare numeri così piccoli; altri giorni pensa che l’infinito deve pur cominciare da qualche parte.
Le protagoniste sono due donne post-umanità, parte di un tutto più grande di loro – rispettivamente l’Agenzia e il Giardino – che le adopera come potenti pedine in una guerra che si combatte risalendo le “ciocche” del tempo e infiltrandosi fra chi quegli eventi li ha vissuti.
Blu e Rossa sono di volta in volta persone o entità qualsiasi in eventi che possono essere storicamente rilevanti anche per noi o in eventi dall’apparenza insignificante ma importanti per far pendere il futuro in favore di una fazione o dell’altra.
Non sono mai descritte con sfoggio di dettagli, ma nelle lettere si raccontano nei loro meccanismi segreti, nei loro desideri profondi, anche quando quei desideri le mettono a rischio come parte del tutto per cui lavorano (ed esistono).
Da qui parte la loro storia, fra le provocazioni e le sfide, fino ad arrivare a confessioni profonde sul significato di esistere, di amare, di condividere, di avere “fame” di cibo, sì, ma anche di molto altro.
Di desiderare.
La fame, Rossa – saziare una fame o alimentarla, sentire la fame come una fornace, percorrerne i bordi coi denti – è una cosa che tu personalmente conosci? Hai mai avuto una fame che si acuiva con ciò di cui la nutrivi, crescendo in modo tanto acuto e vivo da aprirti in due e creare una cosa nuova?
C’è qualcosa di viscerale e magnifico nel modo in cui le lettere vengono scambiate fra le due protagoniste. Sì, perché si potrebbe pensare all’idea che noi abbiamo di “lettera”, ma in questo libro niente è come noi lo conosciamo. Non le due protagoniste, non il tempo e lo spazio, e non di certo il modo in cui le due comunicano. E allora eccole a mangiare bacche per cavarne frasi, leggere missive negli insetti, scoprire parole nelle foglie di tè e fare scorrere i nodi delle corde fra le dita per trarne messaggi segreti. Le lettere non vengono solo lette, ma mangiate, assorbite, riposte in punti nascosti delle loro “menti”.
Non sono sole, però: dal principio leggiamo di come una Cercatrice sia sulle loro tracce e assorba – in modi più o meno letterali – tutto quello che fanno, recuperando ogni impressione che le loro interazioni lasciano nel tempo e nello spazio.
La lettera comincia al centro. Gli anelli, alcuni più spessi e altri più sottili, formano simboli in un alfabeto sconosciuto a tutti tranne che a Rossa. Le parole sono piccole, qualcuna sbavata, ma ferme: dieci anni per riga di testo, e molte righe.
Dev’esserci voluto un secolo per formare il messaggio, mappando le radici, depositando o sottraendo nutrienti anno dopo anno.
Quando si parla di tempo – e di viaggi nel tempo – resto sempre affascinata dal modo in cui il tema viene di volta in volta approcciato. Qui il tempo è uno dei temi portanti, ma l’approccio è quasi onirico, ha una consistenza impalpabile, eppure finisce comunque per collegare punti della narrazione che credevamo messi lì per altri motivi. È un bel cerchio, un’eco di avvenimenti passati e futuri che lega Rossa e Blu in qualcosa di più profondo e decisamente bello da leggere.
Ma la fame che descrivi tu – quella lama che squarcia la pelle, il logorio simile a quello del fianco di una montagna battuto dalle intemperie, il vuoto – mi suona bellissima e familiare.
Ma la trama in sé non è il motivo per cui questo libro mi è rimasto dentro. L’ho amato per il viaggio, per i posti in cui le parole hanno saputo portarmi, per le pulsioni così vive fra le pagine, così individuali e assolute allo stesso tempo.
Sì, questo romanzo è una poesia d’amore verso l’essere umani, verso i corpi abitati, le connessioni scelte, le resistenze, l’anima.
Voglio raccontarti qualcosa di me. Qualcosa di vero, o niente.
Se volete che la vostra fantascienza vi racconti tutto, che comunichi il mondo in modo dettagliato e diretto, questo libro potrebbe frustrarvi.
Lo consiglio invece a chi vuole intraprendere un viaggio lirico nel tempo e nello spazio, attraverso storie e umanità, per seguire due donne post-umane che si innamorano nonostante guerra, doveri e distruzione, e che – nel farlo – ci raccontano proprio cosa significa essere umani!
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