In un mondo ideale, tutti i protagonisti dovrebbero essere interessanti da leggere per qualche motivo. Nell’appuntaventi di oggi, parleremo di quando quel motivo è la loro personalità “diversa” o “particolare”, e di come non scrivere un personaggio fastidioso che il lettore farà fatica a digerire.
Sì, perché il rischio con un protagonista che ha un carattere, una visione del mondo e una filosofia di vita da “outsider” è quello di scrivere un personaggio che si dice speciale, che viene indicato come speciale, ma che non lo è affatto. E il lettore, invece di reagire connettendo con lui, finirà per irritarsi per la discrepanza fra ciò che viene mostrato e ciò che viene raccontato.
Spero che le mie riflessioni in questo appuntaventi possano essere utili, ma ci tengo a precisare che io stessa non sono esule dal rischio di scrivere personaggi “diversi a tutti i costi”!
“Diversi per la società” vs “diversi a tutti i costi”
Partiamo da un’esclusione: non mi riferisco a personaggi percepiti come diversi dalla società – e quindi emarginati – per la loro sessualità, per la loro etnia, per il genere, per il neurotipo, per credo religioso, o per malattie mentali oppure fisiche; ma a personaggi che incarnano il trope del “diverso” o “outsider” per caratteristiche di personalità o di pensiero.
Trovo che sia una specifica da fare, perché i personaggi che vengono etichettati come diversi dalla società trovano ostacoli esterni posti dal mondo che li circonda, e spesso vorrebbero che la diversità non venisse percepita come distanza ma come varietà… un po’ il contrario del personaggio di cui parleremo, che della sua diversità si fa a volte scudo, a volte vanto.
“Personaggi volutamente fastidiosi” vs “personaggi diversi a tutti i costi”
Vorrei sottolineare due principali ragioni per cui fare attenzione quando scriviamo questo tipo di personaggio:
- Il personaggio si dice diverso e indica tutti gli altri come banali o stupidi per modi di pensare, comportarsi, agire… fra cui, potenzialmente, il lettore.
- Il personaggio si dice diverso e poi è come decine e decine di persone che conosciamo, noi compresi. Invece di farci connettere con lui per le somiglianze (come un personaggio ben scritto potrebbe fare), il suo dirsi continuamente “diverso” ci appare fastidioso e immotivato.
C’è una differenza fra un personaggio che vuole risultare antipatico (molto difficile da scrivere bene al punto che il lettore voglia continuare la lettura) e un personaggio involontariamente fastidioso.
Attraverso diversi accorgimenti, una storia può comunicare esattamente quello che lo scrittore vuole, sfumature d’interpretazione a parte. Quindi la consapevolezza dell’autore sulla costruzione del personaggio gioca un ruolo fondamentale e arriverà al pubblico, che sarà più incline ad apprezzare il primo tipo di personaggio e a rifiutare il secondo.
Ricordiamoci che i lettori non sono stupidi e colgono dalla pagina anche i sottotesti e, di conseguenza, le involontarietà.
Siamo davvero così speciali? Una riflessione personale
Parentesi personalissima: tutti crediamo di essere speciali, ma pochi di noi lo sono davvero. E il bello è anche questo: abbracciare che siamo umani, che abbiamo le nostre particolarità, certo, ma che questo non ci rende unici sulla faccia della terra. Va bene così. Chi ci amerà o ammirerà lo farà per come ci comportiamo e per ciò in cui crediamo, non per le nostre particolarità e basta.
Anzi, credere di essere ammirabili solo perché speciali tende a produrre individui con grossi difetti di carattere, che per di più si rifiutano di migliorare (non la ricetta perfetta per un personaggio, insomma).
Idealmente, vogliamo che il lettore ami il nostro personaggio per chi è, per cosa fa e per ciò in cui crede, non solo perché “diverso dagli altri”. I personaggi eccentrici, i “diversi a tutti i costi”, gli incompresi che sono i primi a non volersi far comprendere tendono a stancare in fretta e, se scritti senza consapevolezza di ciò che si sta facendo, a risultare abbastanza bidimensionali.
Dieci suggerimenti per evitare questo tipo di personaggio
Come evitare il “diverso” che crede di esserlo ma non lo è, e come scrivere personaggi diversi che siano interessanti da leggere, quindi?
Ecco alcuni punti che sono stati utili a me, in passato (quando quello che scrivevo era popolato da questi irritanti individui):
- Non rendere tutti i personaggi secondari delle macchiette che esistono solo per calcare la differenza fra il protagonista e il mondo.
Se popolate il mondo di cartonati, ovviamente il protagonista risulterà diverso (e migliore) degli altri, ma i lettori più attenti si accorgeranno del trucco! Questo capita soprattutto con antagonisti di vario livello: bulli dalla personalità di cartongesso, familiari ostili che sanno solo ringhiare e dire che il protagonista è brutto e cattivo, ecc. - Non creare personaggi secondari che continuano a sottolineare quanto il protaognista sia unico (magari dicendosi anche loro unici, così che si possa essere unici in due).
Interessi amorosi, amici e amiche, persone vicine di qualsiasi tipo che esistono al solo scopo di dire al personaggio principale “ma quanto sei diverso e speciale”. Sono interessanti da leggere? No. Diamogli una personalità o poniamo fine alle loro esistenze inutili. - Se la protagonista è una ragazza o è di genere femminile in generale, state alla larga dal caratterizzarla come “not like other girls”.
Leggere invece di truccarsi non è rivoluzionario e, pensate un po’, è pure possibile fare entrambe le cose. Non interessarsi alla moda, non essere estroverse, non essere atletiche, non essere magre, non essere sessualmente attive non sono tratti unici. L’universo femminile è composto da persone; sì, proprio persone fatte e finite, varie, tridimensionali!
Se proprio si vuole fare della critica sociale, che la si faccia consapevolmente e che si identifichi il vero colpevole di certi stereotipi. Il problema non sono le altre donne in generale o le donne che rientrano in certi canoni!
Come evitare quindi di cadere in questa trappola sessista? Beh, per esempio inserendo altri personaggi femminili ben sviluppati e tridimensionali, oltre a rendere tridimensionale la protagonista prima di tutto.
(Questo punto meriterebbe un discorso lunghissimo a parte, che forse un giorno farò). - Non calcare la mano sulla diversità caratteriale del protagonista.
Se è davvero diverso, il lettore lo percepirà e non ci sarà un bisogno continuo di farlo dire e pensare al personaggio, o farlo ribadire dagli altri riga dopo riga, capitolo dopo capitolo.
Ma il problema di questi personaggi sta proprio qui: tolte le parole, siamo sicuri che ci sia qualcosa di speciale da mostrare? - Non caratterizzare la sua personalità solo in base alle sue passioni e ai suoi passatempi “particolari”.
Uno le virgolette (di cui abuso, lo so, lo so), perché spesso le passioni di questi personaggi vorrebbero essere speciali, ma sono molto diffuse: la passione per la lettura, l’essere geek, disegnare sconosciuti, band musicali e film di nicchia, immaginare le vite dei passanti e così via. Anche solo a scrivere questa lista mi sono venute in mente manciate di personaggi che fanno queste cose.
Insomma, ci dev’essere altro nel vostro protagonista oltre a un hobby frizzantino (che non è sbagliato in sé, ma è sbagliato quando viene indicato come ciò che rende il protagonista diverso dagli altri). - Stratificare.
L’essere umano è fatto di contraddizioni (purtroppo per noi?) A volte un personaggio che si distanzia dal mondo è solo un personaggio che dal mondo è stato rifiutato, ma vorrebbe disperatamente farne parte. Un personaggio che se ne frega di quello che pensano gli altri può essere un personaggio che in realtà ha bisogno di attenzione, anche quando è negativa. Un personaggio cinico usa spesso questo approccio alla vita per celare un idealismo ferito.
Insomma, se proprio volete scrivere questo “outsider”, quantomeno che sia tridimensionale, abbia dietro una costruzione solida, sia fatto di sfumature. - Far
evolvere .
A volte un personaggio che si dice speciale, che fa cose speciali e pensa cose speciali può essere digeribile se ha un arco di evoluzione per cui capisce di essere come molti altri, e che questo non lo rende meno valido o meno interessante. Oppure può rendersi conto che è causa del suo stesso male e decidere di lavorare su se stesso. Oppure la risoluzione di un problema (il superamento di un ostacolo) può cambiare la sua prospettiva sul mondo.
Insomma, la premessa è chiara, questo personaggio è specialissimo, d’accordo… e poi cosa gli succede? Di opzioni ce ne sono a dozzine, basta pensarci! - Non romanticizzare malattie mentali o fisiche.
Non inserirle solo perché “interessanti” e poi fermarsi lì. C’è il rischio di raccontarle con superficialità, ingenuità o disinformazione, e questo approccio arriverà al lettore, soprattutto se quel lettore sta vivendo sulla sua pelle quello di cui scrivete (ricordatevi che il vostro pubblico è idealmente vario).
Come evitarlo, quindi? Informandosi, chiedendo a chi vive quotidianamente certe esperienze o ai professionisti che le hanno studiate.
E, se raccontate di una vostra malattia o di un vostro disagio, fate attenzione al rischio di farne uno strumento (per giustificare oppure incolpare il protagonista in tutto quello che fa) o di idealizzarlo. Ma questi sono rischi del self-insertion in generale, di cui parlerò alla fine di questo elenco. - Non raccontare il personaggio solo attraverso ciò che non è.
“Non è popolare, non è come gli altri, non è estroverso, non è affascinante”. Se usata con moderazione, la comparazione può essere utile a descrivere qualcuno, ma abusata rende il personaggio vuoto.
Anche perché il mondo non è fatto solo di opposti, e il fatto che alla vostra protagonista non piaccia andare in discoteca come a sua cugina, non significa che lei passi tutto il suo tempo sola e non le piaccia, per esempio, andare al pub con gli amici per una birra. - Non aver paura di scrivere un personaggio “noioso” a cui però accadono cose speciali. Alla fine ne uscirà cambiato e il suo essere speciale sarà stato visto dal lettore, invece che spiegato.
Self-insertion, una delle cause principali del personaggio “diverso a tutti i costi”
Chiudiamo con la parte più scomoda di quest’analisi: il self-insertion.
Ebbene sì, buona parte dei personaggi “diversi” che ho descritto sono frutto di questa tecnica: lo scrittore si inserisce in modi più o meno sottili in un personaggio del suo libro, spesso con le sembianze del protagonista. Non sto parlando, ovviamente, di un’autobiografia esplicita, né di come tutto ciò che scriviamo ci riflette, in qualche modo; sto parlando di una vera e propria proiezione di sé nel protagonista.
Ora, a prescindere dalla mia personale avversione per questa pratica – preferisco di gran lunga che l’autore sia sparso in giro per la storia e per i personaggi; che si trovi fra le righe, insomma – non è un crimine in sé. Quanti scrittori alcolisti con il blocco ha scritto Stephen King? Abbastanza. Le storie piacciono lo stesso? Sì.
Il problema nasce dal fatto che non siamo oggettivi con noi stessi e non potremo mai esserlo, quindi non lo saremo mai fino in fondo con ciò che facciamo fare e dire al protagonista. L’immedesimazione può essere un bene, ma non a scapito di uno sguardo d’insieme, di un punto di vista esterno, soprattutto quando quel personaggio lo strutturiamo e studiamo, che sia in corso d’opera o in fase di pianificazione.
Insomma, il self-insertion va fatto responsabilmente, ma è molto difficile farlo in questo modo, proprio per il nostro legame con il personaggio. Chi si vede davvero tutti i difetti? E tutti i pregi? Chi riesce a non giustificare mai quello che fa? O a non accusarsi in modo esagerato?
E sì, tutte queste cose si possono immaginare, ma siamo sicuri di riuscire ad attribuirci la giusta quantità di caratteristiche positive e negative? Non lo so, io non ne sono sicura, ma aspetto i pareri di chi leggerà questo appuntaventi!
Conclusione
Ci sono tanti modi per rendere interessante un protagonista, ma – come per le persone vere – sono gli altri (in questo caso, i lettori) a trarre questa conclusione. Se abbiamo fatto bene il nostro lavoro, concorderanno con noi nel trovare il protagonista interessante; se dobbiamo imboccargli quest’idea a forza, probabilmente non siamo sicuri che il messaggio sia in grado di arrivare da sé e, di conseguenza, è possibile che il nostro lavoro non sia stato fatto per benino.
Quante volte alziamo gli occhi al cielo quando sentiamo qualcuno dire “eh, ma io sono stran*” o “faccio questa cosa perché sono particolare” e frasi simili? Ecco, immaginiamoci il lettore farlo ogni volta che abbiamo la tentazione di dire o sottolineare che il nostro personaggio è diverso dagli altri.
Forse, con quest’immagine a tormentarci, riusciremo a creare un personaggio che sia davvero speciale!