“Aria e altri coccodrilli” di Silvia Pillin

La lettura e la recensione (o, meglio, gli appunti) di questo romanzo risalgono ormai all’anno scorso ma, come chi mi segue su Instagram sa, ho ripreso da poco a parlare delle mie letture. Non potevo riprendere a condividere senza parlare, quindi, di Aria e dei suoi coccodrilli.
Il romanzo, scritto da Silvia Pillin, è stato pubblicato da Augh! E si può trovare sul sito dell’editore, negli store online e, ovviamente, in libreria.

Trama: Aria ed Eva hanno diciotto anni, frequentano la stessa scuola e la stessa biblioteca, ma non si conoscono. Eppure hanno molto in comune: entrambe vorrebbero smettere di esistere.
Aria ha un quaderno in cui annota i luoghi, i libri, le frasi, i modi del morire, domandandosi se troverà mai il coraggio di passare dalla teoria alla pratica, e intanto cerca di racimolare i soldi per il corso di scrittura che potrebbe essere un motivo per vivere ancora un po’.
Eva si butta dalla finestra e basta, ma sopravvive a se stessa e dopo tutto è quasi peggio.
Quando le loro strade si incrociano, grazie a un biglietto non firmato e a un esercizio di scrittura, qualcosa inizia a cambiare. I loro coccodrilli, forse, possono ancora essere addomesticati.


Prima di parlare di quello che si trova dentro, vorrei spendere almeno una frase per parlare di quanto mi piaccia l’aspetto del libro. Non solo perché apprezzo la tendenza a utilizzare questo stile minimale e molto grafico, ma anche perché niente poteva rappresentare di più il contenuto del romanzo come l’illustrazione in copertina.
Ormai lo sappiamo tutti, un libro si giudica anche da questo.
La storia in sé non è da meno, però.
Dovessimo riassumere il tutto in una frase, diremmo “è un romanzo che parla di suicidio”, ma forse questa semplificazione toglierebbe alla storia una delle sue caratteristiche fondamentali. Il tema del suicidio c’è, infatti, ma non è drammatizzato o spettacolarizzato; né si tratta di una lettura che subito assoceremmo a questo tema, tutta fatta di dolorosa introspezione e cupezza. E credo che i motivi siano due: l’essere adatto al suo target – secondo me, è un libro principalmente rivolto a giovani adulti – e il modo in cui gli eventi sono raccontati – la forma, per farla semplice.
La scrittura, infatti, è scorrevole e diretta, priva delle esuberanze stilistiche che tanto mi piacciono ma che, in questo caso, avrebbero forse reso le vicende più melodrammatiche che intense. Un’economia di parole dritte al punto, una serie di pensieri lucidi nella loro distorsione, una capacità di modellarsi su personaggi e voci diverse.

Quel tipo di pensieri era come una corsa in discesa, come le ciliegie: uno tira l’altro. Erano potentissimi e inarrestabili, li sentiva farsi largo nella sua testa senza fatica, una palla di neve che diventa una valanga e trascina tutto con sé.

Non c’è la (purtroppo) frequente demonizzazione della terapia, non c’è la paura di chiamare una malattia con il suo nome, non ci sono solo gli aspetti di cui tanto funziona parlare quando si racconta di questi temi, a discapito del loro realismo. In questo, la seconda parte del romanzo è fondamentale.
Ecco, parlando di parti, conviene specificare con l’unico spoiler che mi concederò, e solo perché non è proprio tale: il libro è diviso in due parti, una su Aria e una su Eva, ma non ci sono sovrapposizioni temporali e la storia – tutta scandita dalle date – prosegue dalla prima parte alla seconda. Lo specifico perché le recensioni servono anche a decidere se un libro possa o meno fare al caso di chi capita a leggerle e alcune persone preferiscono i punti di vista fissi.
Non è il mio caso. Anzi, ho apprezzato questa scelta perché si intreccia perfettamente alla trama, ha un solido motivo per esistere e mette in luce le due protagoniste in modi diversi ma altrettanto efficaci.

Non sapeva nemmeno come si chiamasse. Non l’aveva mai chiesto perché si capiva che voleva stare da sola, che aveva paura di infettarti con la sua disperazione, sembrava aver creato una specie di bolla per proteggersi.

Con Aria, protagonista della prima parte, ho avuto quindi un rapporto un po’ tormentato. Non è un personaggio che mi è stato particolarmente simpatico, ma sono certa – proprio grazie al confronto con la seconda protagonista, Eva – che il suo obiettivo non fosse piacere a tutti i costi. Anzi, Aria mostra la depressione per la spirale di pensieri, fragilità e apatie che è, senza fare sconti in favore della simpatia del lettore. Ha momenti in cui si difende dal suo malessere sentendosi speciale (lei non è come sua sorella e le sue amiche, lei non è come i compagni di scuola) e momenti in cui la malattia prende il sopravvento e condiziona la visione di tutto, dalla sua possibilità di trovare lavoro a quella di essere presa per un corso di scrittura tenuto dal suo autore preferito. A un personaggio ben costruito, a un personaggio “reale”, non si può chiedere di essere privo di difetti.
Forse, l’unica nota che davvero mi sento di fare in relazione alla sua parte di romanzo, riguarda i “nemici esterni” (la famiglia e i compagni di scuola). Non sono solo percepiti come tali da Aria, la cui malattia distorce la realtà e la fa sentire un bersaglio, ma sono proprio cattivi con lei, nei dialoghi e nei fatti. Tutti quelli che la circondano la maltrattano, rendendo così un po’ troppo carico il contrasto fra Aria e il mondo. Insomma, i personaggi secondari della sua parte mi sono sembrati costruiti attorno alla protagonista per evidenziarne la solitudine e l’isolamento emotivo, più che persone tridimensionali di cui vediamo soltanto alcuni aspetti per pura necessità di punto di vista. È una differenza sottile, ma io l’ho sentita e ne volevo parlare.

Sembravano non avere un problema al mondo. Aria provò prima una fitta d’invidia: quanto avrebbe voluto non avere niente di meglio a cui pensare che al cantante del momento! Poi si sentì afferrare da una solitudine angosciante: non aveva nulla in comune con Ilenia e Francesca, niente da spartire con le sue coetanee, con le sue compagne di classe, con nessuno.

Se il romanzo fosse stato composto solo dalla sua parte, quindi, il mio parere ne sarebbe uscito positivo, ma con delle piccole riserve.
Ma la parte di Eva c’è ed è quella che ho trovato più matura all’interno del romanzo. Quella in cui non ci sono nemici esterni, ma “solo” una malattia che – trascurata – ha il potere di distruggere una persona; quella in cui i rapporti familiari non sono facili, ma in cui i genitori sono esseri umani con pochi strumenti e non semplici carnefici; quella in cui si parla di terapia, si costruiscono rapporti, si è depressi ma si è anche persone.

Certe volte quei cinquanta minuti sembravano infiniti. Quando ne usciva si sentiva svuotata, e non nel senso buono, ma come eviscerata, come se qualcuno le avesse tolto da dentro degli organi vitali.

Un tema che ho amato, sia per la sua semplice esistenza nel romanzo sia per come viene sfruttato, è quello della scrittura. Anche qui, niente banalizzazioni o drammatizzazioni: la scrittura è fatta di un insieme di insicurezze, esaltazioni e motivazioni. Proprio come per la depressione, si rimbalza, ci si ingarbuglia, si vuole di più ma si ha paura di meritare molto meno. Questo romanzo ha la dote di raccontare le cose come stanno, senza… beh, romanzarle.
Il ruolo che la scrittura ricopre nella storia è importante perché Aria e Eva non condividono solo il desiderio di morire (o di non esistere), ma anche quello di comunicarsi attraverso la narrazione. Basta la citazione di un autore morto suicida, e la scrittura diventa punto di contatto fra le due.
Se però c’è un punto davvero forte, oltre allo stile secco ed efficace, è la costruzione della trama. Il ritmo della storia è ciò che davvero mi ha spinta a divorare il libro in pochissimo tempo. Pende, su Aria e sul lettore, una promessa di morte evidente fin dalle prime pagine ed è su questa aspettativa instillata nel lettore che l’autrice costruisce gli eventi.

La speranza è quella di guarire, di avere abbastanza pazienza per aspettare il momento in cui le cose ricominceranno ad avere senso.

Per concludere, un romanzo che mi ha emozionata, che mi ha tenuta incollata alle pagine, che mi ha fatto “sentire” (tristezza, rabbia, rassegnazione, gioia, speranza…) e che sono contenta di consigliare a chi ama le storie introspettive, a chi vuole leggere di depressione in modo diretto e concreto, a chi preferisce gli stili asciutti ed efficaci che arrivano dritti dritti alla testa e al cuore.

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