“Mani di mandarino. La coscienza di un carusu” di Marco Antonio d’Aiutolo

Con un nuovo banner per le recensioni, vi parlo di un’interessante lettura estiva, ossia La coscienza di un carusu, primo romanzo della serie Mani di Mandarino scritta da Marco Antonio d’Aiutolo e pubblicata per Milena Edizioni (lo potete trovare sul sito della casa editrice, negli store online e, ovviamente, in libreria).

Trama: Nella Catania fascista degli anni ’30, Gabriele inizia a confrontarsi con gli altri ragazzi e a mettere in discussione quell’identità da maschio siciliano che il mondo vorrebbe imporgli. La sua lotta interiore ha origine dalla scoperta di una sessualità diversa, da una segreta attrazione per i “masculi” e da un amore taciuto, nato tra i banchi del liceo. Solo quando conoscerà Calogero, nella sua coscienza ci sarà una svolta reale. Sullo sfondo, intanto, scorre una molteplicità di storie: gli incontri clandestini degli arrusi, pederasta passivi, a piazza Alcalà, le amicizie e gli amori proibiti, gli scandali famigliari e la condizione delle “fimmine”. Quando la grande Storia irromperà nelle giornate di Gabriele, inasprendo le leggi contro gli arrusi, quei masculi che sembravano così forti si mostreranno impotenti. Sarà la forza delle “fimmine” sicule a determinare, nel bene e nel male, il destino di tutti.


Dura solo una manciata d’anni, l’adolescenza, ma è da quell’esperienza tormentata e difficile che usciamo noi adulti. Più o meno indenni. Ecco perché i romanzi di formazione hanno un fascino tutto loro, che permette di rivivere le scoperte della vita se siamo ormai grandi e di sentirci compresi se siamo adolescenti.

È il caso di questo romanzo ambientato fra l’autunno del 1933 e l’estate del 1934, in pieno periodo fascista. Gabriele Di Mauro, da buon esponente di una famiglia sicula per bene, dopo il ginnasio viene mandato a studiare a Catania per volere del padre. È proprio fra l’anno scolastico in città e l’estate nel piccolo paese di Giarre che viviamo la sua storia. Una storia che alterna i due grandi momenti – l’anno scolastico e le vacanze estive, appunto – in un susseguirsi frammentato di esplorazioni, delusioni e piccole vittorie che non hanno mancato di emozionarmi in più punti, tutte legate dai pensieri di Gabriele e dalle considerazioni su quanto gli accade.

Se c’è una nota formale che può essere fatta, riguarda il punto di vista: seguiamo Gabriele per la maggior parte del romanzo tranne in qualche paragrafo, in cui la prospettiva si sposta e il narratore si focalizza su altri personaggi. Troppo pochi, questi momenti, perché il narratore mi sia sembrato onnisciente, ma comunque abbastanza da essere notati e risultare un po’ strani dopo che il narratore si concentra su Gabriele per pagine e pagine. Questa scelta funziona molto bene in alcuni contesti, però (nel prologo, per esempio), e il romanzo è in generale così ben scritto da non infastidire con questi piccoli cambiamenti.
La scrittura, infatti, è maneggiata sapientemente: la forma si adatta al contenuto ed evita sia inutili abbellimenti sia uno stile esageratamente banale. Il linguaggio utilizzato è fortemente intriso di siciliano, ma veniamo aiutati dall’equilibrato uso delle note a piè di pagina, che accorrono in soccorso solo dove strettamente necessario, senza essere invadenti nelle parti in cui il significato di una parola è comprensibile dal contesto.

Niente sapeva degli arrusi, Gabriele Di Mauro, quando, nel settembre del 1933, si trasferì a Catania: nenti di nenti, se non lo sparuliari della gente.

Gabriele è il protagonista, quindi, ed è una creatura “altra” rispetto ai maschi che lo circondano. Non solo i “masculi” adulti, che incarnano l’ideale da cui lui è attratto e respinto allo stesso tempo – perché non lo sente come parte di sé ma come parte dei suoi desideri –, ma è anche diverso dai suoi stessi coetanei, che già vestono i pantaloni lunghi tipici della vita adulta. Lui infatti, pallido, creatura del mare, fatto di una bellezza innegabile ma delicata e così diversa da quella dei “veri uomini”, veste ancora i pantaloni corti. Questo è uno dei tanti simboli che mi ha colpita, una delle tante immagini del romanzo che rimandano alle sue grandi tematiche. Un’altra, per fare un esempio, è quella delle ciliegie usate come orecchini nei giochi d’infanzia che Gabriele condivide con Catena – la sua migliore amica – in cui i due mimano le gestualità delle donne del paese. E, ancora, le “mani di mandarino” che danno il nome alla saga, tratte dal ricordo del profumo che i mandarini lasciavano su Gabriele quando era piccolo.
Attraverso queste immagini, quindi, i temi: la crescita, la scoperta di se stessi e della propria identità, l’interiorità in contrasto con il mondo fuori dal sé, l’idea di un universo femminile e di uno maschile come due poli opposti, con niente nel mezzo, che non riguardano solo il genere ma anche la sessualità (un’idea che alcuni personaggi rinnegano anche solo esistendo).

Ma, in cuor suo, Gabriele aveva sempre saputo di non essere come gli altri coetanei. Sentiva di non essere, come dire, masculo masculo.

Gabriele sperimenta la vita circondato poi da una moltitudine di piccoli e grandi personaggi. Nessuno è immune a un ruolo, nel romanzo, che sia rendere l’idea del contesto o interagire con il protagonista per cambiarne la visione del mondo (e, di conseguenza, influire sull’andamento della trama). Nessuno è superfluo e nessuno è superficiale, soprattutto per quanto riguarda i personaggi femminili. Sono madri, amiche, zie, ma sono prima di tutto persone; aderiscono agli archetipi di riferimento solo nella misura in cui è necessario per l’ambientazione della storia, dopo di ché diventano complessi, fatti di sfumature, ribelli nelle possibilità che l’epoca concede. Un esempio è zia Gilda, la parente che ospita Gabriele durante l’anno scolastico, con le sue vedute più ampie rispetto alla comunità che la circonda.

Proprio grazie alla zia, Gabriele entrerà in contatto con un mondo che in qualche misura aveva già sperimentato, ma mai con la consapevolezza di questo momento della sua vita. Gli omosessuali che prima erano una creatura mitologica, distante, fatta di tentacoli e tentazioni, acquistano consistenza solo quando Gabriele incontra Calogero, l’assistente del sarto della zia. A Calogero basta uno sguardo più attento per scovare qualcosa nel ragazzo e per invitarlo agli Archi della Marina, di notte popolati da uomini alla ricerca di altri uomini, da uomini vestiti da donne, da tutte quelle creature “altre” rigettate dalla società.
Questo invito tormenta Gabriele fin dalle prime pagine del romanzo ma è solo alla fine che scopriamo quale sia la decisione di Gabriele in merito, segno di una storia che incuriosisce, che sprona a proseguire per svelarne i misteri.

Gabriele scorse in lui qualcosa di diverso (e simile), di estraneo (ma familiare), come se anche lui appartenesse a un mondo altro, al mondo degli abissi.

Le rivelazioni giocano un ruolo importante in questo romanzo. Non solo quelle che il lettore vuole avere, ma anche quelle interne, nate dal contrasto fra i segreti dei personaggi che popolano il romanzo e la maschera che la società impone di mantenere. Un contrasto ben rappresentato dal padre di Gabriele, impaurito non solo dalla consapevolezza che il figlio posso essere diverso ma soprattutto dalla possibilità che gli altri colgano e sottolineino questa diversità.
Questa contrapposizione scorre poi in una delle sotto-trame più rilevanti, quella legata a un piccolo scandalo che coinvolgerà una vecchia conoscenza di Gabriele e che permetterà al lettore di scoprire eventi passati a cui Gabriele accenna per buona parte del libro, stuzzicando la curiosità. Un ruolo chiave nel riparare allo scandalo lo avrà proprio il padre di Gabriele, che nel romanzo diventa così, a tutti gli effetti, il protettore delle apparenze.

Gabriele pensò anche al patri ed emersero in lui emozioni contrastanti: timore e venerazione, ansia e passione, sottomissione e rispetto.

Dinamiche di questo tipo non sono proprie solo di Giarre, però. Catania, pur essendo una grande città, non risparmia a Gabriele la scelta di un ruolo sociale. E con questa scelta, fatta il primo giorno di scuola, scopriamo un lato di Gabriele più in ombra, manipolatore, accattivante e… davvero interessante. Sì, perché a questo tipo di malizia – che nasce più da un istinto che da vera intenzione –, si contrappone un’innocenza che emergerà soprattutto d’estate, quando Gabriele si rapporterà con un uomo più grande di lui trasferitosi nelle vicinanze della sua residenza.
Le sfaccettature rendono Gabriele un personaggio tridimensionale, di cui importa seguire l’evoluzione, ma danno anche spessore alla trama legata alla sua crescita, alla sua consapevolezza di sé.

L’accettazione di Gabriele dipendeva anche dalle sue qualità. Aveva, infatti, la capacità di attrarre la simpatia e conquistare la benevolenza.

Tornando all’anno scolastico, anche qui l’autore non ci risparmia una schiera di personaggi ben scritti che credo si avrà modo di esplorare più a fondo nei prossimi libri: i Finocchiaro con il resto dei compagni di scuola, e l’amato Pietro, a cui Gabriele pensa sin dall’inizio romanzo. Fra i coetanei si creano dinamiche complesse e, grazie a loro, si esplorano i temi tipici dell’adolescenza: dal cambiamento dei corpi alle relazioni con le ragazze, fino ai ruoli di potere nel microcosmo sociale che i ragazzi creano.
Pietro non sarà però l’unico a ritagliarsi un posto nel cuore e nei desideri di Gabriele, e in questo emerge un buon ritratto del suo essere un adolescente in esplorazione di se stesso.

Ma poi, come d’incanto, senza preannunciarsi e senza poterselo spiegare, ecco ritornargli in mente il volto del suo bel Pietro Spaduzza e, con lui, macari quello di Tano, lì, sul davanzale delle vecchie scuderie di palazzo Torrisi.

Per concludere, un romanzo che intrattiene senza rinunciare alla profondità, con le radici salde nel territorio e nella storia, ma con i temi proiettati verso l’universale umano, che riesce a incuriosire sulle vite dei suoi personaggi fino all’ultima pagina (e oltre).

Il sito utilizza cookies. L'utente ha preso visione della privacy policy e ne accetta i termini.